Da Antoine Bello a Marina Villa: due tesi sul verosimile
Forse per caso, forse perché ho un certo sesto senso nello sceglierli, ma finora i miei incontri con i buoni libri sono avvenuti quasi sempre nel momento giusto. Così è stato, ad esempio, per La Peste di Albert Camus, che lessi sotto una nuova prospettiva subito dopo aver lasciato casa.
In realtà di esempi potrei farne a decine, come chiunque si possa definire lettore accanito. Uno dei titoli che, da qualche mese, vado consigliando ad amici e conoscenti, ma anche a colleghi che operano nel mondo dei media e della comunicazione, è I Falsificatori di Antoine Bello.
E’ il primo titolo di una trilogia, seguito da Gli Illuminati (titolo fuorviante, niente a che vedere con Dan Brown) e da un terzo volume di prossima uscita per Fazi. Grazie al mensile Internazionale, la scorsa estate, mi è capitata sotto mano la stampa promozionale del primo capitolo: poi, con le vacanze alle porte, ho deciso di acquistarlo, vagheggiando già letture leggere in riva al mare.
Ebbene, così non è stato. O meglio, il grande pregio dell’autore è proprio quello di raccontare con apparente leggerezza una storia che tocca, in modo tangenziale, una serie di temi che leggeri non sono. La storia, in sintesi, è questa: il giovane e confuso Sliv Darthunguver, islandese, si trova a lavorare per una fantomatica organizzazione, il CFR (Consorzio Falsificazione della Realtà), che si occupa di preparare dossier su dossier in modo da “ricostruire” la realtà e il mondo che conosciamo. Aiutato all’inizio dal suo mentore, Gunnar Eriksson, Sliv si appassiona sempre più al suo lavoro, per quanto non conosca scopi e obiettivi di un’organizzazione globale che sembra più ramificata di un servizio segreto e più efficiente di molte entità sovranazionali. All’inizio sembra tutto un gioco: poi, man mano che il protagonista conosce altri affiliati, viene spedito in mezzo mondo e partecipa a corsi di aggiornamento che definire intensivi è un eufemismo, intervengono una serie di dinamiche personali, culturali ed etiche che lo portano prima a dubitare della bontà del CFR, poi ad abbandonarlo temporaneamente, poi a ritornare operativo ma con uno spirito diverso.
In mezzo, i veri protagonisti dei due libri: i dossier, che altro non sono se non storie ben confezionate, con tanto di prove “tangibili” fabbricate da appositi uffici del CFR dislocati in mezzo mondo. Si inventano antropologi, si scrivono “falsi” libri che poi verranno attribuiti a loro, si fabbricano “falsi” documenti e “false” targhe commemorative, “falsi” studi che comprovano le attività criminose delle multinazionali in Africa. Ho messo le virgolette su “tangibili” e “falsi”: perché la forza dei due libri, sorretti da una scrittura agile, ma – ahimé! – da uno sviluppo psicologico dei personaggi non sempre all’altezza dell’impresa, è proprio confondere il lettore, il quale a un certo punto – verso la metà del secondo libro – non è più in grado di capire il confine tra vero e falso. Spuntano le Torri Gemelle, il complotto per aizzare il mondo musulmano, la Guerra in Iraq e le false prove a sostegno della tesi delle armi di distruzione di massa. C’è di tutto. E l’autore (forse è questo il suo grande merito) che si diverte a mischiare notizie vere prese da Wikipedia, ai cui autori è dedicato il secondo volume, e notizie inventate. O meglio, che presumiamo inventate.
La grande lezione di Bello è questa. Il mondo della produzione di notizie, approfondimenti, conoscenza, beni immateriali è il mondo del verosimile. E la realtà stessa, sotto la spinta di un “medium” potentissimo come il lavoro certosino del CFR, diviene niente di più di un giocattolo, una forma mentis che può essere piegata alla volontà di pochi arditi pionieri della conoscenza prefabbricata. C’è un tragico attivismo che permea ogni singola pagina, con i membri del CFR che si sentono investiti da una missione in qualche modo redentrice, antidoto alla barbarie del mondo, ma che da quegli stessi meccanismi finiranno per trovarsi schiacciati.
Ed è lo stesso attivismo che io ritrovo – di più, ho sempre riconosciuto – in chi sta riscrivendo la storia del nostro paese, per fini che non necessariamente coincidono con il bene comune. Il caso di Marina Villa, la falsa terremotata ospite di Forum, che non ha perso occasione di lodare l’operato del Governo e la “ricostruzione” aquilana è solo l’ultimo capitolo di una serie. Ora, non voglio né mi interessa entrare in una querelle politica, pro o contro qualcuno o qualcosa. Mi limito a dire che il meccanismo alla base della prosa di Bello non è molto diverso da quello con cui i media costruiscono la realtà dei paesi occidentali, cosiddetti avanzati.
Il mondo che guardiamo è la fonte da cui scaturiscono le nostre opinioni su di esso. E queste opinioni possono essere espresse in molti modi: nella società odierna, prevalentemente attraverso consumi e consenso. Nel momento in cui quel mondo non è più costituito principalmente da relazioni interpersonali o fonti che giornalisticamente si chiamerebbero “dirette”, la catena degli intermediari che porta da un fatto X alla sua rappresentazione mediatica ha la capacità di incidere sulla nostra reale possibilità di coglierne sostanza e sfumature. Ammettiamo che la signora Marina Villa, cui va tutta la mia solidarietà in quanto – al pari di Sliv Darthunguver – si è trovata nelle maglie di un ingranaggio più grande di lei, abbia voluto improvvisare. Ok, niente di male. La domanda è: quanto quel suo gesto ha cambiato della nostra percezione dei fatti? Quanto ha cambiato del nostro giudizio? E, di conseguenza, quanto consenso è riuscita a spostare? Purtroppo si tratta di domande destinate a rimanere frustrate, lo dico con la massima onestà: la costruzione mediatica della realtà va molto più veloce dello studio sui mass media, non c’è niente da fare.
Antoine Bello gioca molto sul crinale che separa il detto dal non detto. In questo non è molto diverso dalla società dei media, che oggi dichiara e domani smentisce. E nemmeno da quella tv che da anni, casualmente, ci mostra per l’ennesima volta “Salvate il soldato Ryan” o altri film schierati proprio nei giorni in cui in Italia si dibatte sul ruolo della Nato oppure monta, poniamo, una polemica sul ruolo militare degli States nel mondo. Quella tv che, sempre casualmente, ci mostra per l’ennesima volta le peripezie di Don Camillo e Peppone nel momento in cui, poniamo, i due macro-schieramenti politici si stanno accapigliando su posizioni e preconcetti da Guerra Fredda.
Non ne faccio una questione di tv pubblica o privata, di proprietà o di conflitto di interessi. Perché non è il mio lavoro. Ma quando, direttamente o indirettamente, vedi che il tuo paese si confronta quotidianamente con comizi in piazza ritoccati al Photoshop, persone pagate per partecipare a meeting, manifestazioni e trasmissioni televisive, fantomatiche feste di compleanno che paiono dei colossali fotomontaggi; quando l’opposizione la fanno i Dvd della Guzzanti o il blog di Beppe Grillo, per non dire dei girotondi di un regista; quando per molti il vento della libertà sembra figlio delle multinazionali del web e della pay tv satellitare, é in quel momento che ti chiedi dove stia la linea d’ombra che separa il vero dal verosimile
Non parlo solo di spirito di partecipazione, di attivismo eccetera. Parlo di vero e di verosimile, e del rapporto che intercorre tra queste due categorie. Parlo di quali strumenti reali e concreti disponiamo per vedere e capire il mondo, che non siano la nostra esperienza diretta (e pertanto limitata dallo spazio e dal tempo). Di quanti intermediari intervengano su un fatto, ossia su un accadimento nel mondo, e lo trattino fino a farlo diventare una notizia, ossia la rappresentazione di un fatto. Parlo del peso che l’azione di questi intermediari può avere su quel fatto, o meglio sulla nostra percezione di quel fatto. Di quel fatto e del contesto, che è poi il mondo che ci circonda.
La domanda che mi pongo (disclaimer: da astensionista convinto e non legato a nessuna organizzazione politica o sindacale) è la seguente: chi è lo Sliv Darthunguver dell’Italia del XXI secolo? E quali fini persegue? Coincidono con quelli della maggioranza della popolazione o no? Questa maggioranza gli ha dato mandato di agire in nome e per conto suo?
Domande fin troppo innocenti, forse, da lettura apparentemente “easy” sotto un ombrellone in riva al Mar Tirreno. Ma la differenza tra democrazia classica e tutto il resto, oggi, in una società pesantemente condizionata dai mass media, si gioca tutta qui.

Consulente per la comunicazione digitale. Mi occupo di Content Strategy, Content Marketing e Storytelling. Aiuto i miei clienti a progettare narrazioni e contenuti digitali che funzionano e portano risultati misurabili. Il mio approccio è media neutral: utilizzo indifferentemente testi, immagini e video per creare valore tangibile. Organizzo corsi di formazione in azienda, insegno presso l’Istituto Europeo di Design di Milano. Ho condensato parte del mio metodo di lavoro nel volume “Manuale di scrittura digitale creativa e consapevole” (Flaccovio, 2016), con l’obiettivo di aiutarti a produrre contenuti di livello eccezionale.
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