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Guida intergalattica per food blogger


Food Blogger Content strategy, scrittura digitale, storytelling

Gestire un blog a livello professionale significa cercare un equilibrio tra la distribuzione immediata di informazioni pratiche e la capacità di convincere o persuadere il proprio pubblico della bontà della relazione che si vuole instaurare. Il tutto senza essere ridondanti o ripetere cose già dette. Questo assunto è tanto più vero se parliamo di food blogger. Già, perché negli ultimi anni l’argomento Food è cresciuto a dismisura, e con esso la letteratura di riferimento. Il fenomeno food blogger è una realtà. Cuochi e chef hanno trovato nel mezzo televisivo e nella Rete un modo per raggiungere un pubblico molto ampio, mentre alle persone non basta più saper cucinare bene per gli amici, la famiglia o per i clienti del proprio ristorante.    

Bisogna dimostrare la propria perizia davanti alle telecamere di un talent show, e il cibo – in quanto elemento culturale che più di altri determina l’identità di un gruppo o di un paese – è diventato in tutto e per tutto lo Storytelling d’Italia. Accade a tutti i livelli, dal micro al macro. Il racconto del cibo, della cucina e di una cultura gastronomica e culinaria che tutto il mondo ci invidia è diventato uno dei più grandi esperimenti di narrazione collettiva dell’era digitale.

Così, grossomodo negli stessi giorni in cui a Bologna si inaugurava FICO, l’ultima creatura di Oscar Farinetti, ho tenuto una lezione su Scrittura creativa digitale e Copywriting nell’ambito del raduno nazionale dell’Associazione Italiana Food Blogger. Un’occasione doppiamente importante per me. Primo perché ho fatto testare con mano la bontà del mio ragionamento sulla scrittura alle food blogger intervenute. Secondo perché ho potuto raccontare il mio punto di vista sulla relazione tra creatività e storytelling digitale. Ne è uscito un seminario che, partendo dall’esigenza di progettare contenuti di qualità immaginandoli come esperienze proficue da vivere, ha toccato più volte il tema dell’atteggiamento più utile per affrontare la gestione di un blog di cucina con uno slancio in più, ponendo la massima attenzione alla scrittura come strumento per la crescita personale.

Food blogger: verso un nuovo metodo di scrittura

Questa splendida esperienza è stata l’ennesima riprova che non servono particolari metodi di scrittura per produrre contenuti efficaci. Serve piuttosto un ragionamento complessivo di lungo periodo, capace di portare di portare risultati anche al di là dell’hype di un contenuto, stile o atteggiamento. Più che tecniche di scrittura destinate a svanire nello spazio di una moda è meglio coltivare una sana forma mentis, motivo per cui preferisco smuovere determinate leve in chi mi ascolta e piantare particolari semi nel suo orticello, trasferendogli pratiche, dubbi, sbagli che ho fatto scrivendo e approfondimenti raccolti in quel campo di azione che sono i miei dodici anni di lavoro e gli ormai diciassette ad allenarmi ad affinare l’intuito, sentendo il momento e ciò che mi deve insegnare.

Tutta questa roba, se messa a sistema e corredata da un po’ di sana pratica, concorre a creare un metodo di scrittura personalizzato, nel quale accanto alle basi logiche e procedurali del mestiere trova spazio un sano atteggiamento di sfida e riflessione che permette, alla lunga, di affinare i ferri del mestiere e la visione di insieme. Perché senza gli uni non è possibile dar vita alla seconda, ma è vero anche il contrario.

In questo senso, i miei workshop presentano sì una serie di nozioni pratiche sulla scrittura digitale, ma si stanno muovendo sempre più verso un’altra direzione: usare la parola come mezzo per conoscere le proprie potenzialità e abbracciare i propri limiti comunicativi, superandoli.

È lì che si gioca la vera partita, perché concetti come originalità, creatività, autorialità sono successivi. L’intenzione crea l’energia, l’energia la parola, la parola la relazione: tutto qui.

Vivere la Rete è questione di atteggiamento

Non solo: proprio per il discorso riguardante l’atteggiamento con cui le persone stanno in Rete, mi è sempre più chiaro che le tecnologie digitali rappresentano un ottimo strumento per costruire reciproca fiducia ed edificare assieme, in vitro, quel prototipo di mondo che vogliamo e che ci attende una volta varcata la soglia di casa.

La scrittura, il blog, o i contenuti per i social media possono essere usati per costruire quelle reti di relazioni fiduciarie su cui si baseranno, tra le altre cose, l’economia del futuro e gran parte dello stesso concetto di welfare. Che, in assenza di interventi strutturali, dovrà essere ricostruito dal basso, come in parte già succede grazie alla sharing economy.

La recente riscoperta del valore delle componenti immateriali della realtà ci sta portando dritti in una direzione specifica: un mercato e una società in cui il valore di un bene cresce proporzionalmente al livello di fiducia generato tra gli interlocutori che partecipano alla conversazione attorno a esso. Motivo per cui, se aggiustiamo la lente di ingrandimento e torniamo per un attimo ai food blogger e alle loro esigenze comunicative, è e sarà sempre più decisivo sviluppare un proprio metodo di scrittura personalizzato che consenta di offrire il meglio di sé ai lettori e mettere a valore la fiducia creata attorno a un contenuto.

Dall’altra parte della barricata, ossia rivolgendo lo sguardo al consumatore, posso ben immaginare che il suo livello di consapevolezza riguardo alle scelte di prodotti e beni di consumo alimentari crescerà in modo esponenziale. Sarà sempre più informato, potrà incrociare un numero crescente di fonti, sarà sempre più esigente e attento alla propria salute e a quella dei propri cari. Facile, quindi, ipotizzare il tramonto di quei metodi persuasivi riassumibili in formulette del tipo: “Scrivi così e così, rileggi e fai così e otterrai un ottimo esempio di scrittura persuasiva”, destinati – e sarebbe anche l’ora – a un lento ma inesorabile tramonto. Saranno sostituiti, come succederà, da una visione olistica della scrittura. Un approccio più intimo, se vogliamo, volto a riscoprire una certa interiorità che è essenzialmente il potenziale di ognuno di noi: potenziale che, quando diventa parola, può essere messo al servizio degli altri per informare, divertire e intrattenere.

Per questo motivo, sabato scorso, in occasione dei lavori dell’Associazione Italiana Food Blogger, ho insistito particolarmente sulla scrittura creativa e sul copywriting digitale come strumenti atti a creare un ponte tra le persone, basato su tre parole chiave: osmosi del testo, reciprocità, attenzione verso sé e gli altri.

Scrittura creativa e Copywriting: binomio imprescindibile

Scrittura creativa, dicevo. Sì, ma non la scrittura creativa delle accademie o dei salotti. Ho in mente un’idea molto più “operaia”. Una scrittura in grado di creare, di proiettare immagini e di coinvolgere il lettore in un testo progettato per essere un’esperienza che arricchisce animi, cuori e, in questo caso, palati. Questo è il primo significato che attribuisco alla parola scrittura creativa. Il secondo riguarda la creatività stessa, facoltà umana che nasce da una dimensione non corporea dell’individuo, eppure situata in precisi punti del corpo umano, in quel canale centrale da cui scaturisce ciò che pensiamo, desideriamo e a cui diamo forma. Dalle torte al desiderio, da una speranza a una frase ben congegnata. A un concetto. A un contenuto. A un testo, a un articolo o a una relazione.
Per sviluppare la creatività è necessario un costante lavoro di presenza alle sensazioni vissute. Niente a che vedere nemmeno lontanamente con la psicologia. Sto parlando di diamanti, non di bigiotteria.

Per approfondire: Riflessioni sulla creatività

Piuttosto, è importante aver chiaro che abitiamo un corpo che produce continuamente sensazioni. La nostra evoluzione ci ha spinto ad attribuire loro una dimensione narrativa. Abbiamo iniziato a raccontarle agli altri e soprattutto a noi stessi. Da esse abbiamo tratto gran parte del nostro senso di Identità. È andata a finire che oggi attribuiamo più peso al “racconto” che all’idea originaria che esso voleva esprimere, creando strutture collettive e finzioni – quali, ad esempio, il denaro o la Mente – che ci aiutano in una certa misura a decodificare la realtà, semplificandola laddove è difficile da affrontare o scomoda da accettare, e ci permettono di imparare per apprendimento grazie a una serie di codici e strutture imitative consolidatesi nel tempo.

Passa qualche secolo e ora gran parte del continuo lavorio del pensiero ci ha fatto deragliare. È come se fossimo rinchiusi in un gigantesco cinema. Guardiamo le immagini proiettate sullo schermo e siamo convinti che siano la nostra vita. Così facendo, ci dimentichiamo di noi, di cosa sono davvero il proiettore e il fascio di luce che genera le immagini (già, che cos’è?). Ci dimentichiamo persino dei nostri talenti e di come vogliamo e sappiamo essere creativi. Questo schema è limitante, ci fa scrivere come fossimo tanti Agenti Smith: va superato a favore di un nuovo modo di percepire la comunicazione in un mondo sempre più simile a una Rete che a uno spazio tridimensionale all’interno del quali si muovono gli individui, come erroneamente ci definiamo credendoci “non divisibili” da noi stessi.

Se quindi la Rete è la prima grande protesi di un sistema neurale planetario, nonché il primo, gigantesco tentativo dell’uomo di costruire uno spazio interpersonale e dinamico all’interno del quale sperimentare nuove dinamiche di relazione, è anche vero che qualsiasi forma di produzione di contenuti atti a comunicare (mettere in comune) deve essere ridiscussa in profondità.

Sotto il cappello del digital copywriting possiamo quindi inserire tutta quella serie di norme e consigli che rendono un testo maggiormente fruibile in un contesto digitale. Ok, il mezzo è il messaggio, niente di nuovo se ci pensiamo bene: eppure vedo tante persone, colleghi e addetti ai lavori che si spaccano la testa su queste regole, come fossero l’unico elemento in grado di costruire una comunicazione efficace. Per non dire di molti food blogger che guardano al cibo come all’oggetto ultimo della loro comunicazione. Secondo me c’è dell’altro, come ho detto durante il corso: il cibo è amore. Parlateci di amore.

Abbiamo bisogno di fondere copywriting e scrittura creativa, e prendere a prestito concetti che derivano da altre discipline capaci realmente di mettere la persona, e non le piattaforme, e non gli algoritmi, al centro della discussione. La posta in palio è altissima: regalarci la possibilità, grazie ai contenuti che produciamo, di incidere sugli eventi e sulla percezione del mondo da parte di chi ci leggerà. Come è facile notare, siamo ai confini con l’etica e la deontologia. Deontologia che non può arrivare da codici di condotta promulgati dall’alto, ma deve nascere spontaneamente dal singolo Autore, blogger o food blogger, nel momento in cui si domanda il senso della propria attività. Senso che, detta come va detta, non è fare da grancassa a basso costo alle aziende del food.

Copywriting e scrittura creativa: i pilastri della parola digitale   

Sabato scorso ho insistito molto su alcune domande, che riguardano da vicino la scrittura creativa e il copywriting digitale, e che per un food blogger oggi sono doppiamente importanti. Se non altro per l’impellente necessità di trovare un proprio tone of voice, una propria autorialità e distinguersi in un mare sempre più vasto di blog di cucina e contenuti legati al cibo e alle sue dinamiche. Sempre meglio non fare le cose che fanno tutti gli altri. Finisce che si diventa tutti gli altri, e di questi tempi proprio non conviene.

Chi sono quando scrivo?

Domanda fondamentale, la base di ogni successiva costruzione di un testo esperienziale. Eppure è una domanda che pochi si pongono, perché ingiustamente relegata nei meandri di alcuni laboratori di scrittura creativa particolarmente illuminati. Proviamo a porcela ogni tanto: mente vuota, blocco di appunti in mano, lasciamo che le risposte emergano da sole, dall’istinto, unica forza in grado di consolidare le nostre capacità di scrittura e di permetterci, come dico sempre, di caricare le nostre parole di energia, alla stregua di una pila di Volta.

Perché scrivo?

“Cucino molto bene e mi piace scrivere. Da qui l’idea di aprire un blog di cucina” è una risposta che purtroppo non basta. Non perché si debba per forza essere animati dal sacro fuoco della scrittura. Che, per inciso, neanche esiste, ma è una furbata creata per vendere qualche corso in più. È solo che provare piacere nel fare un’attività e di conseguenza scriverne non è una leva sufficiente per intraprendere qualsiasi attività, figuriamoci quella del food blogger, che richiede un set di competenze per nulla banali. Perché nel mondo ci sono milioni di persone che ragionano allo stesso modo, e rischi di percorrere una strada destinata allo scacco. W. Chan Kim e Renéè Mauborgne te ne parlerebbero in termini di “oceano rosso”: nuotare in una vasca già piena zeppa di squali che si scannano e spargono sangue a litri per poter emergere dalla massa. Trovare, al contrario, il proprio “oceano blu”, quello spazio inesplorato che, al di là di ogni successivo ragionamento sulla concorrenza, nasce dalla consapevolezza della propria unicità autoriale. E quindi da una risposta non banale e non affrettata alla domanda: “Perché scrivo?”.

A chi scrivo?

Di nuovo, “agli appassionati di cucina che vogliono ricevere suggerimenti e approfondimenti su cibo e ricette” potrebbe non bastare. È vero, l’ho detto prima, l’interesse per l’argomento è cresciuto a dismisura negli ultimi anni, e con esso il numero di food blog consultabili. Ma è anche vero che la produzione fulminea di contenuti relativi a una nicchia di contenuto può saturarla in breve tempo, con buona pace di grafomani ed esperti di keyword research. Non solo: occorre considerare l’esistenza di realtà commerciali che hanno una capacità di investimento molto più alta del singolo, e hanno quindi chance enormi di creare engagement attorno ai propri contenuti. Il tutto a danno della visibilità di un blog food creato con pochi mezzi e tanta passione.

Come uscire da questa trappola? Secondo me le direzioni sono almeno due: o si percorre la strada della nicchia, estremizzandola se serve. Un blog di cucina dedicato ai vegan poteva essere un esempio fino a qualche tempo fa, posto che si voglia scrivere di quello. Ma ora la strategia della micro-nicchia dove ci porterebbe? A un blog food che parla solo di dolci vegan realizzati con determinati ingredienti? E poi?

L’altra strada è quella di lavorare a una migliore definizione del target di riferimento. Le “persone cui piace la cucina e vogliono ricevere suggerimenti e approfondimenti su cibo e ricette” non sono un’audience praticabile in Rete: è un’idea buona se sei Rai 2 o Sky. O se puoi permetterti un paio di decine di migliaia di Euro l’anno in advertising. Rispondere veramente alla domanda: “A chi scrivo?” significa superare il marketing, andare oltre al target e immaginare le persone cui vuoi parlare. Immaginare i loro bisogni, le loro aspettative, immaginare cosa provano quando hanno un figlio celiaco e devono reinventare la dieta di famiglia. Immaginare anche che ogni contenuto è un elemento di information overload, e di conseguenza cominciare a eliminare dal proprio piano editoriale tutto ciò che potrebbe tradursi in rumore di fondo. Poi provare a fare dei test con persone conosciute e vedere se i contenuti riescono ad appassionarli. Fare reverse engineering e smontare i testi che hanno raccolto il plauso del proprio pubblico, grande o piccolo che sia non importa. Cosa ha funzionato? Quali leve ho toccato? Chi si cela dietro a quelle leve? Come posso soddisfare i loro bisogni? Ecco, stiamo iniziando a rispondere alla domanda: “A chi scrivo?”.

Come scrivo?

Lo stile non c’entra. Lo stile di scrittura è un concetto che non mi appartiene. È molto più produttivo e concreto concentrarsi sugli elementi infinitesimali – emotivi, pragmatici, relazionali e comunicativi – che le parole fanno emergere, se usate in un certo modo. Ognuno di noi ha la capacità di imprimere un certo effetto alle parole, come un calciatore che sa dove colpire il pallone per originare una traiettoria particolare.

Le parole non sono poi così diverse. Ogni segno viene percepito almeno su quattro livelli: segno, significato, immagine mentale dell’oggetto rappresentato e suono. Scrivere liberamente, senza costrizioni, fare degli esercizi e smontare i propri testi o quelli di altri blogger focalizzando l’attenzione sulle sensazioni che ci giungono. Questo è domandarsi: “Come scrivo?”. Concentrarsi sulle immagini che si creano nella mente mentre si sta scrivendo e associarle a determinate costruzioni testuali. Anche questo è domandarsi: “Come scrivo?”.

Per approfondire: Scrittura digitale e presenza

Quando scrivo?

Attenzione significa anche porre l’attenzione al momento giusto per scrivere. Dato totalmente soggettivo: c’è chi preferisce la mattina, chi le ore notturne, chi è costretto dagli impegni a scrivere nei ritagli di tempo e chi può dedicarsi al 100% alla scrittura. Ma domandarsi: “Quando scrivo?” vuol dire anche chiedersi qual è e quando interviene la scintilla che porta a cercare istintivamente la penna, il blocco o la tastiera del computer, anche solo per prendere un appunto di poche righe che non diventerà mai un post. Quella scintilla, essenzialmente una sensazione, è la rappresentazione più fedele della propria disposizione alla scrittura creativa. Il resto, cioè trasformare la scintilla in parole, è un lavoro di cesello che perfeziona la scrittura creativa. Ma di per sé, non ha niente a che vedere con la scrittura né tanto meno con la creatività. È un po’ difficile spiegarlo qui, a distanza e senza fare qualche esercizio di scrittura assieme, ma il concetto è: ogni cosa è utile per ciò che non è. Così è per lo scrivere, che non ha niente di creativo in sé, ma è una pratica eccezionale se si vuole imparare a nuotare con energia e gioia in mezzo a quello che David Lynch, molto più bravo di me, definisce “oceano della coscienza”.

Leggi anche: Scrivere: ecco come trovare l’ispirazione

Cosa voglio trasmettere? Quali emozioni voglio far provare?

Domanda fondamentale quando si progetta un testo creativo e persuasivo, perché un testo non è più bello di un altro perché utilizza determinate parole o costruzioni. Né che un food blogger è più coinvolgente di un altro perché tratta determinati argomenti. Ecco. Le parole sono come zenzero e curcuma, un mero ingrediente. A fare la differenza è il cuoco e il suo mix di perizia, esercizio, amore per il proprio lavoro e desiderio di mettere il proprio sapere a disposizione degli altri. Dirò di più: mi è venuta l’idea per un bell’esercizio. Immagina di essere il più bravo chef al mondo. Prendi un foglio e descriviti mentre prepari le pietanze per cui tutto il mondo ti acclama. Non ha importanza se descriverai i preparativi della pasta alla carbonara, ricetta che – senza voler mancare di rispetto a nessuno – potrei cucinare pure io. No. Io voglio portarti verso un altro traguardo. Continua a descrivere. I piatti, le pentole, la cucina in cui ti trovi. Le persone che ti fanno compagnia mentre strabili il mondo con la tua carbonara. Chi è lì con te? Cosa prova mentre tu cucini? Cosa ti dice? Ti incoraggia? Se sì, come credo, quali parole usa?

Bene, scrivi tutto quanto. Quando senti arrivare la “giustezza”, ossia quella particolare sensazione che ti dice che il testo va bene così com’è, mettilo da parte. Potrai rileggerlo, se vuoi, aggiornarlo o modificarlo quando sentirai il bisogno di farlo. Ma la cosa importante è un’altra: da domani, ogni volta che ti trovi davanti alla tastiera per aggiornare il tuo blog, cerca di riportare alla coscienza le belle sensazioni provate scrivendo della tua stratosferica carbonara e lascia che ti accompagnino nella stesura dei tuoi futuri post.

Per approfondire: Copywriting, Storytelling e scrittura persuasiva

Come mi emoziono quando scrivo? Dove risiedono le emozioni?

Rispondere: “Provo tanta gioia quando condivido i miei pensieri con gli altri” potrebbe non bastare. Non perché le emozioni non abbiano valore, ci mancherebbe. Se ritenessi il contrario, non avrei passato l’ultima oretta e mezza a scrivere queste due righe. Ma potrebbe essere utile andare oltre. Capire quali emozioni ci guidano mentre scriviamo. Sapere dove si annidano e che tipo di informazioni ci stanno comunicando. Svelerò un piccolo segreto: questa consapevolezza del rapporto corpo-parola è nata in me tanti anni fa. Stavo leggendo un libro di scrittura creativa di cui ora onestamente non ricordo nemmeno il titolo. Il primo paragrafo era dedicato alla postura corretta da tenere mentre si scrive: schiena dritta, collo rilassato, mento leggermente rientrato, spalle rilassate, gomiti ben piantati sulla scrivania. Rimasi di stucco perché per me, all’epoca, era solo una questione di parole. “Cosa c’entra la mia schiena?”, mi chiesi. Nel prosieguo degli anni, lo sport mi ha dato la risposta, e ora so a cosa serve una schiena rilassata e il bacino leggermente retroverso. Ma non l’ho imparato grazie ai libri. È servita la pratica e la consapevolezza che quasi tutto quello che facciamo, quando siamo connessi a noi stessi, è una forma di scrittura creativa.    

Cosa c’è dopo le emozioni?

In realtà ho escluso questa domanda dal mio seminario. Scrittura e copywriting sono intimamente connessi alle emozioni, parola molto particolare che ritrova le sue radici nel concetto di “smuovere, portare altrove”. Bene, cos’è e dov’è quell’altrove? E a cosa servono le emozioni? Cosa c’è dopo di esse? Non lo so. Ma se tutti insieme cerchiamo la risposta, con le parole o il nostro comportamento di ogni giorno, prima o poi qualcuno la troverà. E allora, quel giorno, mi faccia un fischio, perché avremo tutti compreso un tassello molto importante del nostro esserci. Qui. Ora. E io mi sarò tolto un bello sfizio: saper rispondere a una domanda che ci riguarda e che, per certi versi, non dà tregua.

 

copywriting, scrittura creativa