Collaboriamo.org: intervista a Marta Mainieri
Nel mondo in continua evoluzione degli affari e dell’innovazione, l’importanza della collaborazione e della costruzione di comunità all’interno delle aziende sta diventando sempre più evidente. In Italia, uno dei pionieri in questo campo è Marta Mainieri, fondatrice di Collaboriamo.org, realtà che si è guadagnata una reputazione d’eccellenza nel promuovere e sostenere comunità aziendali di successo.
Con una visione chiara e una passione contagiosa per il lavoro di squadra, Marta Mainieri ha lavorato instancabilmente per creare un ecosistema in cui la collaborazione è al centro dell’innovazione e della crescita aziendale. Mi sono preso un caffè virtuale con Marta per conoscere la sua storia, la sua visione e la sua esperienza nella promozione della collaborazione all’interno delle organizzazioni italiane.
Ciao Marta e grazie di essere qui. Come prima cosa ti chiederei di presentarti ai lettori di SegnaleZero.
Ciao Piero e grazie mille a te per ospitarmi su SegnaleZero. Mi presento: sono fondatrice di Collaboriamo, un’organizzazione che opera da 10 anni sul design dei servizi collaborativi. In particolare siamo focalizzati sul community design: abbiamo sviluppato un metodo, un approccio (framework) e degli strumenti (toolkit) per supportare le aziende che vogliono far nascere e crescere una community.
Sono anche autrice di tre libri: “Collaboriamo”, “Community economy” e “Community design”, pubblicato da Egea. Sono inoltre parte dell’Advisory Board del Master in Service & Product Design del Politecnico di Milano.
Da dove nasce il tuo interesse per le community?
Per me community è quando un gruppo di persone si riconosce intorno a una proposta di valore al di là dell’ambiente che frequentano, anche perchè le community che oggi funzionano sono quelle che si sanno muovere sui diversi ambienti e che vanno molto al di là di ciò che succede su un singolo canale social. Le community di cui mi interesso sono community interne rivolte ai dipendenti, community territoriali rivolte ai cittadini, community brand rivolte ai clienti, community di business rivolte a mettere in rete diverse organizzazioni. L’universo è molto più complesso di quello che ci si può immaginare.
Tornando alla tua domanda ho iniziato a lavorare sui temi del design collaborativo 10 anni fa, quando ho scoperto la sharing economy. Quello che mi colpì della sharing economy era che univa obiettivo di business e obiettivo sociale, e che proponeva un nuovo modello di servizio, a piattaforma, che stravolgeva – e lo fa ancora oggi- il modo tradizionale di fare impresa: non più erogare servizi, ma abilitare persone a incontrarsi e collaborare, quindi a fare comunità. Presto mi sono resa conto che per rendere sostenibile un servizio a piattaforma, prima deve nascere la comunità e poi la piattaforma. Allora mi sono focalizzata sul cercar di capire come facilitare la nascita e la crescita di comunità. Oggi credo che questo sia una necessità anzi, un’urgenza per tutte le organizzazioni. C’è tanto bisogno di comunità oggi: lo dicono le ricerche e i dati sui consumatori e anche sui collaboratori che lasciano le aziende. Ci sentiamo tutti molti più soli e abbiamo bisogno di trovare il senso nelle scelte che facciamo siano esse di consumo, di tempo libero o di lavoro.
Quali sono i vantaggi di una community per un’azienda?
Sono diversi e moltissimi. Intanto innovazione: da una community le aziende possono ricevere idee, consigli, commenti su prodotti e servizi. Supporto: la collaborazione fra pari permette alle aziende di immaginare nuovi servizi che si basano su una logica fra pari. Condivisione della conoscenza: dalla collaborazione infatti nascono discussioni, scambio di informazioni, condivisione delle esperienze che possono essere importanti input per l’azienda ma anche per gli altri membri. E ancora una community può aiutare nella selezione dei talenti, nel creare fiducia tra azienda e clienti o collaboratori, nel generare coinvolgimento e quindi motivazione e benessere.
Quali sono i principi base da seguire per far crescere la propria community?
Il primo consiglio che posso dare è non improvvisare. Costruire una community non è lanciare un gruppo whatsapp o facebook ma un lavoro che ha bisogno anche di competenza e professionalità.
Per facilitare le imprese che vogliono far nascere e crescere community noi abbiamo sviluppato un framework di cui ti riassumo i principi base che secondo me deve seguire chi vuole intraprendere questo percorso.
- Creare un’identità capace di parlare alle persone, di essere semplice e coinvolgente per aggregare nuovi membri ma anche per attivare quelle già presenti e renderli orgogliosi di partecipare.
- Creare un sistema di ingaggio che sappia abilitare le persone a fare insieme. Non un sistema che organizza eventi, momenti di incontro e basta ma un modello di ingaggio che abbia l’obiettivo di far attivare le persone affinchè crescano insieme.
- Definire un sistema di governance capace di assegnare ruoli, attività e ricompense anche ai membri in modo da far scalare la community.
- Definire un modello di sviluppo, che significa capire quali risorse investire (non si fa una community senza un budget), ma anche come si può rientrare dall’investimento e come misurare la crescita.
Quanto è importante lo Storytelling per la nascita e lo sviluppo di una community?
Fondamentale. La narrazione aiuta a definire l’identità di una community e a far crescere il senso di appartenenza, che è uno degli aspetti definitori delle community. Ma la narrazione è anche importante per continuare ad aggregare nuovi membri, perchè se nelle community non c’è ricambio, si fatica a crescere e a rimanere rilevanti per l’azienda ma anche per i membri stessi.
Come cambia la narrazione quando si ha a che fare con una community aziendale? Quali sono le sue caratteristiche?
La narrazione per una community è molto diversa da una narrazione pensata per un servizio o un’organizzazione tradizionale: deve essere molto più concreta. Non è più una mission distante e poco comprensibile, ma uno scopo concreto e facile da capire. Il focus infatti non è più sull’azienda ma sulle persone. Il plurale infatti non è maiestatis, ma definisce il patto di fiducia siglato dall’organizzazione con i membri della community. Lo storytelling si fa storydoing e deve raccontare ciò che la community fa insieme, i risultati raggiunti, le persone che la compongono, e non più un ideale lontano e spesso poco raggiungibile come quello di un tempo.
Possiamo considerare i social media come delle community aziendali sui generis, o cambia qualcosa? E come cambia lo Storytelling?
I social media non fanno una community, anzi. Una community è un gruppo di persone che condivide una proposta di valore e che ha uno scopo condiviso. Sui social le aziende non aggregano persone per co-costruire valore, ma parlano a un pubblico di clienti, affezionati, lettori e così via. Il rapporto che si instaura è quasi sempre basato sulla comunicazione di prodotti e servizi e non sulla conversazione e co-progettazione. La community ha bisogno di un luogo chiuso per crescere che talvolta può essere un gruppo Facebook o social ma il più delle volte sono piattaforme sviluppate ad hoc o social più adatti alla conversazione come Discord.
Le aziende stanno capendo l’importanza delle community?
Le aziende hanno chiaro che devono modificare il modo di relazionarsi con i propri clienti e collaboratori. Sanno che questo è fare community. Ma non sanno ancora cosa fare e non conoscono le professionalità e competenze capaci di sostenere la nascita e la crescita di comunità. Così spesso improvvisano, non sapendo che questo rischia di essere un grande boomerang.
Tuttavia iniziano a esserci tanti casi interessanti di sperimentazione sia verso community interne – rivolte ai collaboratori – che esterne – dedicate ai clienti. Noi ne stiamo facilitando alcune e vediamo che i benefici sono davvero molteplici.
Si tratta di dar valore alle relazioni, alla conversazione e all’ascolto in maniera autentica e trasparente. Quando un’azienda riesce a costruire con i propri clienti o collaboratori una community avrà a disposizione un laboratorio di idee, consigli, conoscenze, competenze che faranno crescere i prodotti, il coinvolgimento, la motivazione e la retention.
Consulente per la comunicazione digitale. Mi occupo di Content Strategy, Content Marketing e Storytelling. Aiuto i miei clienti a progettare narrazioni e contenuti digitali che funzionano e portano risultati misurabili. Il mio approccio è media neutral: utilizzo indifferentemente testi, immagini e video per creare valore tangibile. Organizzo corsi di formazione in azienda, insegno presso l’Istituto Europeo di Design di Milano. Ho condensato parte del mio metodo di lavoro nel volume “Manuale di scrittura digitale creativa e consapevole” (Flaccovio, 2016), con l’obiettivo di aiutarti a produrre contenuti di livello eccezionale.
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