Iran, i media, il web. E noi …
Mi ero ripromesso di non affrontare l’argomento. Volevo aspettare ulteriori sviluppi, in modo da ragionare a mente fredda su quanto sta accadendo. Inoltre, c’era da parte mia la volontà di non salire sul carrozzone di chi, ben protetto tra le mura del mondo occidentale, da giorni loda oltre ogni ragionevole dubbio i social media e Twitter per l’apporto (insostituibile e rivoluzionario) svolto durante le tragiche giornate di Teheran. Di fronte a questo versare fiumi di inchiostro telematico ho preferito starmene zitto.
Bisogna notare la presenza di uno scarto nella narrazione. Il baricentro della notizia è stato spostato, passando in soluzione di continuità dal racconto delle vicende alla riflessione sulla rappresentazione fornita dai nuovi media delle vicende stesse.
Non so se mi spiego, ma oggi è fondamentale non tanto capire che figata sia Twitter, ma come poter intervenire a supporto della popolazione iraniana, far sentire il nostro dissenso e il nostro orrore di fronte a vicende da cui siamo separati solo da qualche migliaio di chilometri, ma che ci toccano da vicino come se si svolgessero sotto casa nostra.
Negli Stati Uniti utilizzano Twitter per organizzare sit-in e meeting pacifici di protesta (in queste ore ho letto di un incontro a Houston, non so se poi è andato in porto), noi invece stiamo qui ad arrovellarci su teorie comunicative che analizzano i social media, con un atteggiamento ambiguo, oscillante tra il chiacchiericcio salottiero e lo sciacallaggio.
Mi ha colpito molto il ruolo di parte del giornalismo italiano, caduto nella trappola di attribuire al 2.0 poteri che non ha (almeno non direttamente, non possiede quello di organizzare rivoluzioni), arrabattandosi per dire qualcosa di sensato dopo che per anni – e nella migliore delle ipotesi – ha considerato i media partecipativi come roba da serie B. Ricordo ancora un mio ex caporedattore che utilizzava la parola ‘sfigati’ come sinonimo di ‘blogger’, e non illudiamoci che in altre redazioni l’aria che tira sia diversa.
Solo che qualcosa è cambiato. L’apparato dei media ha perduto completamente il monopolio del racconto della realtà e della formazione dell’opinione pubblica. Un processo iniziato quando ha cominciato a disinteressarsi, da un lato, al mondo da raccontare e, dall’altro, a coltivare un rapporto di reciproca fiducia con il lettore. La crisi è strutturale, ed è così profonda che bastano i micromessaggi da 140 caratteri di Twitter per mandare in tilt tutta l’architettura industriale e comunicativa dei media. Che ora sente l’acqua alla gola e quindi parte, baionetta alla mano, a riprendere le fila di un discorso interrotto, forse irrimediabilmente.
Ben venga qualsiasi rivoluzione, quella di Teheran come quella dei social media. Ma se volgo lo sguardo al mondo dei mezzi di comunicazione di massa, e per un momento cerco di dimenticarmi quanto invece accade in Iran, la mia preoccupazione è un’altra: io non credo che per il giornalismo odierno il problema sia capire come far pagare le news o limitarsi a lodare la ‘rivoluzione 2.0’ senza capire che questa prelude a un’era post-mediatica la quale, piaccia o no, vedrà uno dei guardiani più importanti della democrazia ridimensionarsi di molto.
La sfida, piuttosto, è capire in quali luoghi – e attraverso quali circuiti ‘virtuali’ – nasce e si sviluppa oggi l’opinione pubblica multimediale internazionale. E capire come i nuovi media partecipativi possono essere utili nella difesa dei valori democratici, in Iran come a casa nostra.
Il che obbliga a un continuo lavoro di approfondimento sui temi di attualità, e non lo sterile sensazionalismo populista che in questi giorni sta mischiando informazioni pertinenti e rumore di fondo, con i media tradizionali a tessere le lodi della nuova religione del web e a celebrare inconsciamente la propria agonia.
Quanto a noi, iniziamo a utilizzare sul serio il web per cambiare le cose. Partiamo da questo link e inventiamoci qualcosa di civile e assolutamente pacifico, eppure non per questo meno carico di rabbia e sdegno. Cartoline di protesta? Può essere un’idea!
Consulente per la comunicazione digitale. Mi occupo di Content Strategy, Content Marketing e Storytelling. Aiuto i miei clienti a progettare narrazioni e contenuti digitali che funzionano e portano risultati misurabili. Il mio approccio è media neutral: utilizzo indifferentemente testi, immagini e video per creare valore tangibile. Organizzo corsi di formazione in azienda, insegno presso l’Istituto Europeo di Design di Milano. Ho condensato parte del mio metodo di lavoro nel volume “Manuale di scrittura digitale creativa e consapevole” (Flaccovio, 2016), con l’obiettivo di aiutarti a produrre contenuti di livello eccezionale.
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