La spy story della banda larga
In Italia abbiamo l’innata capacità di trasformare i fatti in una fiction. A volte, in una spy story. Lo vediamo (per l’ennesima volta) in questi giorni, di fronte alla querelle riguardante lo stato della banda larga in Italia. I giornali sembrano confermare la genuinità del rapporto commissionato dal governo al super-manager consulente Francesco Caio. Una relazione tenuta segreta per troppo tempo e in queste ore comparsa in Rete, pare in due o tre versioni differenti. Tentativo di depistaggio? O miracolo della condivisione sul web di risorse remixate più volte?
Difficile poterlo dire con certezza. Di sicuro c’è la gravità dei dati , che descrivono una realtà ben peggiore di quella resa nota negli anni da istituzioni e aziende del settore, Telecom Italia in testa. Sette milioni di persone, il 12% della popolazione, escluse dall’accesso alla banda larga. Un numero impressionante cui, per spirito di onestà, vanno inclusi tutti coloro che quotidianamente utilizzano Adsl spacciate per super-veloci (anche 20 Mb) eppure, nei fatti, ben lontane dai valori pubblicizzati. Oppure coloro che, stando a quanto dicono le varie Telecom Italia o Fastweb, non avrebbero nessun problema, salvo poi constatare che la propria Adsl semplicemente ha smesso di funzionare, si blocca nelle ‘ore di punta’ oppure funziona regolarmente, ma solo se si abbassa la banda portante a meno di un Mega. Tutti fatti che negli anni ho potuto constatare di persona, anche grazie alle testimonianze più volte portate alla mia attenzione da realtà come Aduc o AntiDigitalDivide.
Una situazione vergognosa, insomma, di fronte alla quale l’Ad di Telecom Italia ha risposto così: “L’Italia non è affatto indietro sull’accesso alla rete in banda larga nè per qualità del servizio nè per copertura, ma è indietro nell’utilizzo che ne fanno i consumatori, le imprese e le amministrazioni pubbliche”. Come dire, la tecnologia c’è: il problema, semmai, è l’uso elementare che la gente ne fa.
Cosa vuol dire uso elementare? Francamente – se questo era il senso delle sue parole, Bernabè – è difficile pensare a un intero paese che si limita a posta elettronica, un po’ di browser e qualche visita fugace ai social network. Potrà essere così tra coloro che hanno scoperto il 2.0 di recente, ma certo non lo è tra migliaia di imprese – spesso artigiane – che per avere un servizio decente hanno da tempo abbandonato il rame e si sono rivolti a tecnologie satellitari o wireless. Questo spiega, tra le altre cose, il boom delle chiavette Umts tra le partite Iva. Ma anche parte del ritardo competitivo patito da gran parte del tessuto produttivo italiano. Un ritardo di cui chi, negli anni, ha evitato politiche di rilancio tecnologico è mandante e causa principale.
Consulente per la comunicazione digitale. Mi occupo di Content Strategy, Content Marketing e Storytelling. Aiuto i miei clienti a progettare narrazioni e contenuti digitali che funzionano e portano risultati misurabili. Il mio approccio è media neutral: utilizzo indifferentemente testi, immagini e video per creare valore tangibile. Organizzo corsi di formazione in azienda, insegno presso l’Istituto Europeo di Design di Milano. Ho condensato parte del mio metodo di lavoro nel volume “Manuale di scrittura digitale creativa e consapevole” (Flaccovio, 2016), con l’obiettivo di aiutarti a produrre contenuti di livello eccezionale.
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