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Buon compleanno, mamma Rai!


RAI Radiotelevisione italiana

L’incipit non poteva essere dei più solenni. “La Rai, Radio televisione italiana, inizia oggi il suo regolare servizio di trasmissioni televisive”. Tutto ebbe inizio così, sessant’anni fa, con Fulvia Colombo e il suo sorriso rassicurante che annunciava l’inizio delle trasmissioni Rai e, con esso, i primi passi della televisione italiana. Il gigantesco apparato che per sei decenni più di ogni altra cosa ha contribuito a regolare consumi, distribuire consenso, uniformare stili di vita e di pensiero.
Uno strapotere che è anche linguistico e culturale. Le parole della Colombo giunsero a illuminare un paese che, uscito in qualche modo dal secondo conflitto mondiale, aveva voglia di lasciarsi tutto alle spalle e gettarsi a capofitto tra le braccia del miracolo economico e delle conseguenti promesse di riscatto. Un paese allora politicamente unito da poco meno di cent’anni, ma in cui ogni regione aveva lingua, usi e costumi propri. Si parlava il dialetto e le regioni italiane componevano un mosaico di storie e memoria che il tubo catodico si sarebbe apprestato a mettere in secondo piano.

La televisione ha unificato il paese, gli ha dato una lingua. Ma soprattutto ha creato (imposto?) un orizzonte comune. Ha fatto gli italiani e le sue fasi di sviluppo, consolidamento e infine declino sono coincise con quelle di un impianto politico che sin da subito si è appropriato del mezzo catodico per parlare agli italiani e al loro immaginario.
Il piccolo schermo, per come l’abbiamo conosciuto finora, non è stato solo una finestra su un mondo di luci, palcoscenici artefatti e paillettes animato da Mike Bongiorno, Corrado o Raimondo Vianello. E’ stato la scuola del maestro Alberto Manzi, le melodie di Mina, lo storytelling nazionalpopolare di Carosello. Ma, in controluce, è stato molto di più: qualcosa che assomiglia al grillo saggio di Pinocchio, creaturina simpatica e ciarliera che sa sempre distinguere ciò che è giusto da ciò che non lo è. E ci parla, ci istruisce. Ci educa, uniforma, rinserra le fila delle coscienze attorno a una visione unica, apparentemente condivisa.

Un processo formativo sui generis, rafforzato dall’opera solerte dei Bernabei, dal rapporto a doppio filo con la classe politica tripartitica che avrebbe cambiato tutto per non cambiare niente e che, almeno in apparenza, si è fatta da parte nel 1993, all’ombra dei tribunali o al ritmo delle monetine lanciate dalla folla davanti dell’Hotel Raphael.
Sessant’anni di televisione possono essere tanti o pochi: sono tantissimi quando ci soffermiamo a pensare al fil rouge che va da Ercolino alla lottizzazione, dal “tg panino” al salotto di Vespa. Dal CAF agli innumerevoli tentativi di riforma/spartizione, dalla prima riforma del 1975 a quella del 1993, che ha portato alla ribalta “i professori” e ha preparato il terreno per il conflitto di interessi e maggioranze in CdA spalmate su quelle disegnate dalle urne.
È così che siamo diventati un popolo di tele-elettori, seguendo quella linea retta che dalla voce di Fulvia Colombo ha portato a un duopolio di nani, caimani, ballerine, anchor man e show girl.

Oggi, 3 gennaio 2014, una Rai in caduta libera, luccicante metafora di un paese allo sbando, tenta la carta della nostalgia dei bei tempi andati. Stasera, il cavallo zoppo di Viale Mazzini riporterà le lancette al 1954 e per qualche ora congelerà il tempo, restituendoci un armamentario culturale che passa per Calimero e Gian Luigi Marianini. In estrema difficoltà nel guardare al futuro, nonostante il satellite, nonostante il digitale (terrestre e non), nonostante la multimedialità, ci proporrà un tempo catodico ciclico, immutato e immutabile, in cui le origini finiscono per coincidere con l’epilogo. Un arco di tempo, sessant’anni in tutto, in cui si è lavorato alacremente alla costruzione di un dispositivo culturale e d’intrattenimento, che ha fatto saltare gli spazi di sicurezza tra establishment politico, culturale e televisivo, finendo col trasformare la “cosa pubblica” in un continuum che ha inglobato Palazzo Montecitorio, Palazzo Madama, Saxa Rubra,  fino alle estreme propaggini di Cologno Monzese.

Un arco di tempo in cui si è cercato di cambiare tutto – ossia il paese che usciva destabilizzato dalla Seconda Guerra Mondiale – per poi, coscientemente, non cambiare nulla. Tutto uguale, fotogramma dopo fotogramma. Soubrette dopo soubrette. Velina dopo velina. Scheda dopo scheda. Tra “sapori di sale e risultati elettorali sempre uguali”.

Buon  compleanno, mamma Rai! Buon compleanno, anche se si prova un certo groppo in gola a pronunciare questa frase.

informazione, televisione

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