Il caso Sallusti e altre zone d’ombra

“Siamo tutti Sallusti! Arrestateci tutti!”, cantano in coro i direttori delle principali testate. “Ma anche no!”, viene da rispondere. Anche perché la levata di scudi di questi giorni è servita, ancora una volta, a nascondere il cuore del problema. Un problema complessivo, che si chiama “credibilità della stampa italiana”.
Perché comunque la pensiate, Alessandro Sallusti, condannato in via definita a 14 mesi di carcere per diffamazione aggravata dalla Corte di Cassazione, non è un martire della libertà di pensiero. È un cittadino che nel suo ruolo di direttore di un giornale ha commesso un reato (qui le motivazioni della condanna): poi possiamo discutere tutta la vita se la pena per questo reato sia eccessiva, e comunque io credo di no.
“E’ un retaggio dell’epoca fascista!”, si sente dire: questo sì, però è anche vero che la carta stampata ha il potere di distruggere vite, rovinare reputazioni, di mettere alla berlina onesti cittadini facendoli passare per pericolosi criminali. A volte basta pochissimo. Giusto quindi che la categoria dei giornalisti, a fronte di così grande influenza, abbia grandi responsabilità.
Altrimenti è un gioco: ognuno scrive quello che gli pare, diffama e sparge menzogne e poi con un clic e una semplice ammenda arriva il colpo di spugna, accompagnato magari da un beffardo articolo di rettifica pubblicato a pagina 40, dopo che il presunto “mostro” è finito in prima pagina per mesi.
Scusate, il caso di Dino Boffo, ex direttore dell’Avvenire, dipinto per mesi come molestatore e omosessuale sulla base di informative della Polizia poi sbugiardate, ce lo siamo già dimenticato?
In questi giorni non ho assistito a un dibattito maturo sulla questione. Quella vista alla televisione, letta sui giornali e sentita alla radio è la classica deriva culturale, politica e professionale. Parliamo di libertà di stampa, tiriamo in ballo i dissidenti russi e cinesi e non siamo capaci di leggere la realtà e capire che il caso è ben diverso. Un reato di opinione è infatti altro dal riportare notizie false. Che, incidentalmente, è l’esatto contrario di ciò che un giornalista coscienzioso è tenuto a fare. Basterebbe questo per chiudere la questione: e invece no. La liturgia va avanti.
Da buona parte del mondo della stampa è arrivato il solito atteggiamento chiuso e corporativista, a dimostrazione che il concetto di “casta dei giornalisti” è qualcosa di tangibile, che noi freelance malpagati e zero tutelati andiamo denunciando da anni. Dal mondo politico il solito balbettio e, per il momento, poca concretezza.
Ci sono diversi punti oscuri all’interno di una nebulosa già di per sé difficile da interpretare. Di articoli diffamatori ne vengono pubblicati a decine: alcuni non sono nemmeno scritti con intento doloso, a volte basta rifarsi a una fonte non verificata direttamente (spesso il pezzo del collega di un’altra testata, o un’agenzia letta in velocità) e si finisce con lo riportare cose che non corrispondono alla realtà. Per carità, non voglio dire: “giornali e siti sono pieni di balle!”. Ma sono pieni di ricostruzioni parziali.
Più che altro, tornando al caso Sallusti, mi mette a disagio vedere che nell’Italia del 2012, a fronte a una vicenda tutto sommato lineare (un giornalista condannato per diffamazione), si ripropone tutto un certo armamentario culturale fatto di nodi irrisolti.
Punto primo: non posso non notare che il bubbone è scoppiato dopo un articolo che tocca il tema dell’aborto, tema sul quale gli italiani hanno già deciso a suon di referendum.
Punto secondo: siamo ancora a parlare di giornalisti che hanno venduto la penna ai servizi segreti, pubblicato notizie false sotto dettatura per fini che non sono mai stati acclarati, e per questo radiati dall’Ordine. Eppure continuano a produrre articoli, pare, sotto pseudonimo e con la segreta connivenza dei loro superiori, sia quelli che siedono in redazione sia quelli che siedono su altre poltrone.
Che fini ha avuto (o ha tuttora) questo flusso di “veline” che sanno tanto di Stasi e invece sono 100% Made in Italy? Questo flusso sta continuando? Chi lo muove? E cosa ha a che fare tutto ciò con la sicurezza dello Stato? Che questa vicenda abbia un’orizzonte che a questo punto non riguarda solo Sallusti, la libertà di stampa, la diffamazione?
Non c’è nessun elemento per affermarlo con certezza, quindi il giudizio va sospeso. Ma non per questo i dubbi si sciolgono. Non in un’Italia che non hai mai saputo aprire del tutto certi armadi per farne uscire scheletri e dossier manipolati.
L’unico punto fermo è che viviamo un periodo in cui la credibilità della stampa è ai minimi storici. E se la stampa vacilla, è la democrazia che vacilla. Su questo faremmo bene a ragionare, quando parliamo di riforma della professione.

Consulente per la comunicazione digitale. Mi occupo di Content Strategy, Content Marketing e Storytelling. Aiuto i miei clienti a progettare narrazioni e contenuti digitali che funzionano e portano risultati misurabili. Il mio approccio è media neutral: utilizzo indifferentemente testi, immagini e video per creare valore tangibile. Organizzo corsi di formazione in azienda, insegno presso l’Istituto Europeo di Design di Milano. Ho condensato parte del mio metodo di lavoro nel volume “Manuale di scrittura digitale creativa e consapevole” (Flaccovio, 2016), con l’obiettivo di aiutarti a produrre contenuti di livello eccezionale.
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