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Social Media: le aziende italiane e la strategia che non c’è


Il mercato si è reso conto dell’importanza dei social media per aumentare l’interazione con i consumatori e avere riscontri immediati sul marchio e sui prodotti. Mancano tuttavia le strategie per sfruttare efficacemente l’online in chiave business.
Leggo e penso: “Bella scoperta!”. Senza offesa per nessuno, ben inteso. Tanto meno per chi ha condotto l’indagine “Quanto è social la tua azienda?” da cui è emerso il quadro di apertura: AIDiM (Associazione Italiana per il Direct Marketing), ANVED (Associazione Nazionale Vendita a Distanza) e eCircle.

Si può scaricare l’intero report dal sito di eCircle. Consiglio di farlo anche perché i dati sono interessanti. Il 75% degli intervistati ha affermato di utilizzare i social network oppure i blog come naturale complemento del proprio business. Due terzi, però, ammettono di avere pochi obiettivi, generici e poco focalizzati. Facebook rimane in cima alle preferenze delle aziende, seguito da LinkedIn, Twitter e Google+.

Altri numeri degni di nota: il 60% delle imprese promuove il proprio marchio con una fan page, mentre la metà (30%) investe in campagne pubblicitarie su social media. Il 58% delle aziende intervistate interagisce con regolarità sui propri spazi social, scambiando opinioni con i propri iscritti, rispondendo a richieste di assistenza tecnica o post-vendita, ricevendo e gestendo feedback sui prodotti acquistati.

Tutto bene quindi, o quasi. Non mi sorprende che il “social business” rimanga piuttosto sul vago, il più delle volte senza obiettivi concreti e chiari. La strategia resta infatti il grande assente di questo scenario tutto sommato incoraggiante. In giro se ne vede poca.
Siamo onesti: c’è molto copia-incolla di ricette mutuate da case histories estere, molto agire senza conoscere a fondo l’azienda-cliente, i suoi valori, le sue potenzialità, i suoi naturali interlocutori. Prevale quello che un mio collega e caro amico definisce con non poca lucidità “la catena di montaggio del social media marketing”. Altrimenti detto, il marketing digitale un tot al chilo. I progetti tutti uguali. Quel marketing che va avanti a colpi di PowerPoint, citando a casaccio tra code lunghe e tesi del Cluetrain Manifesto. Quella cricca che negli anni ha riempito i tavoli di conferenze e meeting e non ha una case history che sia una a corroborare la solidità del proprio lavoro.

Le aziende italiane si lamentano per la mancanza di strategie lungimiranti e focalizzate? Bene, inizino anche a chiedersi come hanno implementato i loro progetti 2.0, o a chi si sono rivolte finora per realizzarli.

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