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Startup in Campus: l’innovazione passa (anche) da Trieste


Startup Campus Trieste

Un pomeriggio trascorso a ritagliare fogli di carta colorata, immaginando la risposta del mercato (anzi, del Mercato) ai nostri fiocchi di neve, di cui si sarebbe atteso il boom di lì a poco. Un occhio alle altre immaginarie startup che hanno fatto parte della simulazione. Gesti, risate, i consigli degli esperti che dirigevano la partita e, soprattutto, un gioco che, a conti fatti, mi ha insegnato molto e che mi ha fatto tornare alla mente molte scene di qualche anno fa quando, con tante speranze, un pizzico di follia e pochissime coordinate mi decidevo a intraprendere la libera professione.
La simulazione serviva a spiegarci sfide, strategie ed euristiche di una start-up che intende aggredire il mercato. Poco importa se fai App per Android o iPhone oppure fiocchi di neve ritagliati: il processo è quello. E quindi quale miglior modo di capirlo vivendolo, sebbene in scala ridotta? Nessuno. Nemmeno due tonnellate di slide e case history potrebbero compensare e sostituire la mole di informazioni che i nostri due mentori, Stefano Schiavo e Andrea De Muri, ci hanno trasmesso in un assolato pomeriggio sul Carso triestino.

Area Science Park, Padriciano. Casa mia, o quasi. Sono nato a pochi chilometri e oggi vedere la mia terra infiammata da un vento che parla di innovazione, ricerca, tecnologie e modelli di business innovativi non può che riempirmi d’orgoglio.

Detto questo, Startup in Campus è stata una splendida occasione di confronto e crescita. Al di là del tema prettamente tecnico, il suo valore è stato testimoniare ancora una volta l’esistenza di un fermento creativo (e, sì, direi persino culturale) attorno al tema della nuova impresa tecnologica. Che non vuol dire solo ricchezza materiale, PIL, cervelli che provano a mettersi in gioco e a non fuggire all’estero, scelta comoda quanto abusata per evitare le pastoie culturali, burocratiche e lobbystiche di questo paese. Vuol dire principalmente ricchezza umana che si rimbocca le maniche e prova a immaginare un altrimenti, una via d’uscita alla retorica dello sfascio di cui questo paese è impregnato. Scrollarsi le scorie di dosso è il primo passo per reinventare un paese e una “cultura dell’esserci e del credere”, che mi permetterei di suggerire come ottimo sostituto della “cultura del fare” di cui spesso in altre occasioni si è parlato a vanvera…

Ma martedì 23 luglio si è detta una cosa importantissima. Cito a memoria, chiedendo scusa per eventuali imprecisioni. “‘Piove, governo ladro’ è l’alibi dei nostri fallimenti”. Parole di Riccardo Luna durante il suo intervento, che linko qui sotto consigliandone caldamente la visione. Non voglio sovrappormi al suo discorso, per cui mi limito ad applaudire ancora una volta le sue parole. Ha parlato di innovazione. Di percorsi virtuosi e di persone che, credendoci e sputando sangue, sono riuscite a dimostrare il loro valore. Ha parlato di startup, ci ha raccontato una storia che cozza con il pessimismo grondante di questi tempi e di ampi strati della società italiana. Proprio per questo motivo il suo intervento ha una duplice valenza. Oltre al contenuto in sé, ci ricorda che uno scenario differente (dal punto di vista sociale, economico, culturale, tecnologico) è possibile. Raggiungerlo non sarà automatico ma, in questi tempi di futuro non garantito, non provarci significherebbe passare senza lasciare traccia, perdendo una grandissima opportunità di vivere in prima persona il cambiamento in atto.

 

(ancora una cosa. vi consiglio di leggere il blog di Gabriele Persi, organizzatore della giornata, per una cronaca più attenta della mia)

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