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Il "nuovo" giornalismo


Il nuovo giornalismo risente molto, nel bene e nel male, dell'impatto delle nuove tecnologie: web, social media e mobile in primis

Trovo su Affaritaliani.it l’articolo “Giornalisti/ Free lance sfruttati e malpagati: un articolo vale 2 euro. Da Repubblica a Libero, ecco le testate che incassano i soldi pubblici e non pagano i collaboratori” .

“Un articolo scritto per La Nazione può valere 2 euro, poco meno di quelli per Il Resto del Carlino, retribuiti “ben” 2,50 euro. Lordi, ovviamente. E non si pensi che sia solo il gruppo Poligrafici Editoriale a gestire “al risparmio” i suoi collaboratori: l’Ansa, principale agenzia italiana, paga 5 euro (sempre lordi) per ogni lancio, mentre la concorrente Apcom offre da 4 a 8 euro, ma non paga nulla nel caso in cui l’evento assegnato non si realizzi. Una testata storica e prestigiosa come Il Messaggero non supera i 27 euro ad articolo (ma le brevi valgono solo 9 euro). E l’avvento del web introduce nuove, bizzare forme di retribuzione: è il caso, ad esempio, del giornale online Newnotizie.it, che compensa 35 news settimanali 1,50 euro ogni mille click raggiunti (e non devono essere molti i pezzi a raggiungere tale soglia), cui vanno aggiunte 12 news a settimana senza retribuzione, anche se “consentono il raggiungimento del tesserino da gioralista pubblicista”. Vuoi mettere?”

“Forse va meglio puntando sui principali quotidiani nazionali? Non proprio: la redazione toscana di Repubblica paga 20 euro a pezzo, ma dopo il 15mo articolo gli altri sono gratis… Sono alcuni dei “dati della vergogna” (così li ha definiti il segretario generale del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti, Enzo Iacopino), emersi dalla ricerca “Smascheriamo gli editori”, realizzata dall’Odg grazie a un migliaio di giornalisti free lance che hanno accettato di rispondere alla richiesta, inviata via email a circa 4mila giornalisti professionisti, di rivelare le condizioni in cui lavorano. Condizioni che delineano una situazione di vero e proprio sfruttamento del (troppo numeroso, evidentemente) “popolo” dei giornalisti free lance.”

La tabella completa è a questo indirizzo.

Poi leggo questo post su Il Giornalaio, dove si parla di correlazione tra copertura informativa e inserzioni pubblicitarie, grazie a una ricerca condotta da Marco Gambaro e Riccardo Puglisi (Università di Milano).

“L’analisi conferma come il ritorno, in termini di articoli pubblicati, sia direttamente correlato al crescere degli investimenti pubblicitari, aumentando sia in funzione dei comunicati stampa diffusi che del livello di investimento in comunicazione pubblicitaria delle imprese.”

Nel frattempo, mentre ricerche come queste ci suggeriscono l’urgenza di riformare – per davvero – il sistema dell’informazione, notiamo tutti che il dibattito sul nuovo giornalismo è molto forte in questo periodo. Si parla di editoria e social media, di news e di online, di “fare informazione” in epoca digitale. Ma si parla poco (niente) di quanto suggerito oggi da questi due articoli.
Ultimamente è stato ripescato dalla soffitta della narratologia lo storytelling, pericolosamente vicino al concetto di persuasione, e non solo di comunicazione. Intanto, non si ragiona con la dovuta attenzione di nuove competenze richieste ai professionisti dell’informazione, di Ordine e di tutele, di importanza (reale o percepita) della filiera della notizia, di necessità di editori puri. Temi che non nascono oggi, ma che non per questo non sono importanti. Temi sui quali alcuni stanno cercando di innestare un dibattito in salsa ‘social’ che di innovativo ha veramente poco.

giornalismo, informazione

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