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20 anni di World Wide Web


Buon compleanno. Sono già passati 20 anni da quando Tim Berners-Lee propose un progetto globale basato sull’idea di ipertesto, noto a tutti con il nome di World Wide Web. Lo fece assieme a Robert Cailliau, il cui nome stranamente non ha avuto quasi mai altrettanto risalto mediatico.

Riassumere quanto accaduto in questi 20 anni è un’impresa difficile: come sempre si rischia di cadere nella retorica stantia delle grandi occasioni. Bisognerebbe abusare ancora una volta del termine “rivoluzione”, che per certi versi é perfino insufficiente a descrivere i grandi cambiamenti cognitivi, semantici, sociali, culturali, informativi introdotti dalla tripla W.

E’ cambiato il modo in cui lavoriamo, guardiamo al mondo, ci informiamo, partecipiamo alla vita pubblica e collettiva, gestiamo il nostro tempo libero e quello invece dedicato alla nostra professione. I nostri acquisti, i nostri comportamenti di consumo. La nostra dieta mediatica: sì, perché non vi è medium che non sia stato influenzato dalla “rete”, intesa come concetto cognitivo. Se quindi i sistemi di rappresentazione della realtà sociale sono cambiati, si è modificato – in un regime di reciproca interdipendenza e influenza – anche il modo in cui costruiamo la nostra visione politica del mondo. Politica, da polis (città): quindi spazio comune. L’immaginazione di un nuovo spazio comune ha portato a nuove forme di partecipazione politica, nate nel momento in cui il Web diventa mezzo che coadiuva molte persone a pensare a un “altrimenti”.

Sono cambiati anche i rapporti di potere, i meccanismi attraverso cui la rappresentanza politica prende corpo. Prima di scrivere questo post, scorrendo tra i titoli presenti nel mio studio, mi è caduto l’occhio sugli ottimi “Politica 2.0. Blog, Facebook, Wikileaks: ripensare la sfera pubblica” di Antonio Tursi e su “Obama. La politica nell’era di Facebook” di Giuliano da Empoli. Ma mentre scrivo già mi viene in mente “La democrazia nell’era di Internet. Per una politica dell’intelligenza collettiva” di Luca Corchia, che merita certamente una citazione (e un’attenta lettura, e ovviamente questo vale per tutti e tre i titoli).

Dal mio punto di vista, la mutazione dei rapporti di potere, consenso, consumo sono i tre fenomeni attualmente più importanti a livello di Web.

Quindi politica, comunicazione, marketing ed economia.

Se è vero che da uno scenario mass mediatico ci stiamo spostando molto velocemente a un’era fatta di personal media e messaggi altamente personalizzati, è altrettanto importante ricordare che con la stessa rapidità una fetta sempre più ampia della popolazione mondiale sta facendo sentire la propria voce, e preme perché determinate dinamiche tipiche delle reti sociali digitali diventino elemento attivo del processo decisionale politico ed economico.

In tutto questo intravedo una linea evolutiva ben chiara, che potrebbe essere riassunta nella formula “dall’E-Gov al We Gov”. Giorno dopo giorno, accelera il processo per cui, anche grazie all’apporto informativo/comunicativo/antropologico/sociale delle nuove tecnologie interattive, aumenta la consapevolezza della necessità del superamento delle forme di rappresentanza attuali.

Ovviamente ci sono interessi diversi in gioco: da un lato quelli di pochi, dall’altro il Bene Comune. Da qui l’oscillazione tra il tentativo di costruire una “democrazia oligarchica” e la sempre più ampia richiesta di una “democrazia partecipativa”.

Che si parli di politica, di marketing, di comunicazione, di media, di società la sfida rimane la stessa. Vent’anni di Web hanno portato maggiori libertà cognitive, politiche e sociali. Ma hanno significato anche maggiori concentrazioni di potere, e soprattutto la messa in opera di un cantiere virtuale che pensa la fruizione della Rete come un percorso sempre più eterodiretto. Customizzazione di massa: puoi scegliere template e colori, hai mille possibilità di personalizzare il tuo profilo sui social network, ma di fatto resti incluso in un enorme casellario digitale. Sembra quasi una particolare declinazione del modello App Store, dove le apps siamo noi e la merce in vendita non è uno Shazam qualsiasi, ma il nostro tempo, il nostro consenso, le nostre opinioni.

Lo spirito libertario della Rete delle origini si è scontrato con la costruzione di ampi recinti digitali. I grandi social network mondiali ne sono l’esempio più lampante, ma non dimentichiamo Google, il grande filtro tra noi e le informazioni del mondo.

Se si guarda a questi colossi, e li si legge in controluce, si può capire come il loro sviluppo scrive già oggi le linee guida che regoleranno da qui in avanti la costruzione dell’esperienza digitale.

Spesso mi capita di descrivere tale esperienza – l’Esperienza di Esserci in Rete – in questi termini: “può essere un safari o una gita a Gardaland”. Ossia, può essere l’esplorazione di un territorio per la maggior parte vergine, fatto di contenuti e di riflessione continua su quei contenuti. Può essere un’escursione nel Grande Cervello del Mondo a caccia di informazioni e relazioni che creano valore aggiunto nella nostra vita. Può essere il modo in cui decidiamo di autodeterminarci. Oppure può essere il modo in cui barattiamo buona parte della nostra esistenza, del nostro tempo, delle nostre percezioni in cambio di un minimo quanto fittizio riconoscimento sociale.

E’ questa la grande sfida che ci attende, nei prossimi 20 anni. Sto parlando di tutti noi, con particolare attenzione a chi nel Web ci lavora, e quindi si presume essere dotato di una certa consapevolezza, utile a fare quella formazione necessaria affinché questa riflessione sul rischio tecnocratico sia condivisa da quante più persone possibile.

Quindi, Happy Birthday Web! Spero di ritrovarmi qui, il 14 novembre 2031, tra 20 anni, a scriverti che non abbiamo scelto il parco divertimenti, ma il safari avventuroso. E a dirti che ce l’abbiamo fatta.

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