Arriva il questionario a misura di blogger
Poi non ci venite a dire che mancano creatività e attenzione. In questi giorni, circola in Rete – tramite passaparola digitale – un’iniziativa sicuramente interessante. La chiamano ‘blogger survey’ ed è il tentativo fatto da Text100, agenzia di pubbliche relazioni, di monitorare gli umori del 2.0 italiano.
In che modo? Tramite un questionario online, cui si può accedere tramite username e password forniti dall’agenzia, riguardante il rapporto ideale tra specialisti delle Pr digitali, curatori di blog e altri soggetti che animano, con la loro presenza e le loro riflessioni, le piattaforme ‘social’ più seguite del momento.
Banalizzando il tutto, si vuole capire che aria tira, come ingaggiare i blogger, su quali mezzi e quale tipologia di contenuti condividere. E, soprattutto, saperne di più su caratteristiche e modalità della relazione da instaurare con chi, nei fatti, è un’opinionista a tutti gli effetti.
Anzi, di più. Gli A-List blogger, di solito, vengono chiamati a testare prodotti, presenziare a eventi pubblici, fare da moderatori, all’interno di una cornice che unisce le Pr alla pura concessione del benefit. Pratica questa che esperti e specialisti di ‘buzz’ conoscono molto bene e utilizzano per generare a meccanismi di marketing virale.
In circa quindici domande, Text100 da vita a una doppia operazione: da un lato compie il gesto, senza dubbio lodevole, di ‘sporcarsi le mani’ e scendere nell’arena della conversazione online. Dall’altro prova a prendere le misure di questo terreno di incontro, tutto sommato nuovo, in modo da capirne a fondo le logiche, i principi, le aspettative e le dinamiche.
Text100 non è l’unica ad aver intrapreso la strada del web partecipativo. Sempre per restare in Italia, pensiamo a Edelman (“Agency of the Year” secondo il settimanale Pr Week), attivissima sul fronte dell’interazione anche grazie al proprio blog istituzionale. O a Business Press, che da tempo si avvale di una Smart Room per la diffusione online di note, comunicati stampa, materiale grafico, aperta – come da dogma del 2.0 – ai feedback di giornalisti online, blogger e professionisti.
C’è molta attenzione, insomma, per le dinamiche di dialogo in Rete. E molta sana prudenza.
Non parliamo solo dell’aspetto professionale, ma anche di quello etico-strategico. Perché spesso la troppa confidenza nei propri mezzi porta a dei blackout concettuali. Negli Stati Uniti, lo scorso mese Forrester Research ha reso noto uno studio di mercato in cui sostiene che, tutto sommato, concedere dei benefit espliciti a blogger e opinion leader digitali è un’attività fruttuosa: anche se ciò vuol dire spingersi a pagarli per ‘postare’ dei contenuti relativi ad aziende, prodotti o servizi.
Più visibilità uguale migliori performance di mercato, insomma. E più spazio all’interno del grande circo conversazionale vuol dire migliori ritorni, di immagine e sugli investimenti.
Le reazioni alle affermazioni di Forrester – a ben vedere un po’ ‘facilone’ – sono state le più disparate. Riassumendo, si potrebbero dividere in tre categorie. La prima sostiene che il blog è un bene privato e quindi gestito secondo la sensibilità del proprietario. La seconda si è detta possibilista: se la relazione commerciale è esplicita allora è tutto ok. Qualcosa di simile a una clausola di esonero responsabilità, dove il blogger afferma di essere pagato, da chi e che tipo di servizio gli viene chiesto in cambio. La terza si è detta contraria e ha auspicato che la blogosfera non diventi terreno di conquista (almeno non in questo modo spudorato) per i marketing manager d’oltreoceano.
Nel nostro paese, se queste pratiche diventassero consuetudine – come in parte sta già accadendo –si profilerebbe uno scenario a dir poco esplosivo. Il mercato sta cambiando molto in fretta e i confini tra figure professionali si fanno sempre più incerti. Essere blogger è diventato un lavoro a tempo pieno, spesso accompagnato a una o più collaborazioni giornalistiche o al ruolo di consulente. C’è chi interpreta questo ruolo in modo ineccepibile, e chi invece lo fa all’italiana, ben lontano da qualsiasi norma etica.
Insomma, il terreno è fertile e il rischio è quello di sempre: dar vita al solito groviglio di ingerenze e giochi di potere, stavolta in salsa 2.0. Ecco perché vale la pena, oggi che siamo ancora in tempo, prendere le misure e capire cosa bolle in questa nuova prateria digitale: per evitare che diventi il solito Far West.
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Consulente per la comunicazione digitale. Mi occupo di Content Strategy, Content Marketing e Storytelling. Aiuto i miei clienti a progettare narrazioni e contenuti digitali che funzionano e portano risultati misurabili. Il mio approccio è media neutral: utilizzo indifferentemente testi, immagini e video per creare valore tangibile. Organizzo corsi di formazione in azienda, insegno presso l’Istituto Europeo di Design di Milano. Ho condensato parte del mio metodo di lavoro nel volume “Manuale di scrittura digitale creativa e consapevole” (Flaccovio, 2016), con l’obiettivo di aiutarti a produrre contenuti di livello eccezionale.
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