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Il fumetto alla seconda, ovvero della parodia


Il fumetto alla seconda

La sesta edizione del Festival dell’Illustrazione di Pavia, organizzato dal Sistema Bibliotecario Intercomunale del Pavese “Renato Sòriga” in collaborazione con gli Assessorati alle Biblioteche Civiche e alla Cultura del Comune di Pavia e con il sostegno di Fondazione Cariplo e Fondazione Comunitaria della Provincia di Pavia Onlus, guarda oltralpe. Venerdì 11 ottobre, infatti, a partire dalle ore 18.30 si terrà l’inaugurazione di Parodies, la band dessinée au second degrée, collezione itinerante del Musée de la Band Dessinéè di Angouleme (Francia).

Il fumetto al secondo grado
Ideato e scritto da Thierry Groensteen e con il progetto grafico di Catherine Ternaux, Parodies, la band dessinée au second degrée riprende il concetto di parodia, l’imitazione di un’opera che guarda a un altro testo, trasformandolo con spirito ludico o satirico e l’intenzione di divertire. Non necessariamente satirica, la parodia nasce come omaggio sui generis a un’opera di cui si riconosce l’importanza e verso la quale si prova un legame affettivo privilegiato.
Parodia e fumetto procedono di pari passo sin dalle origini di quest’ultimo, e innumerevoli sono i racconti disegnati che deridono (pur con divertito rispetto) un film, un romanzo, o una serie televisiva, o ancora un fumetto precedente. Per non parlare dei giorni nostri: la parodia è più viva che mai, figlia di quella condizione postmoderna che si confronta continuamente con l’ibridazione delle forme espressive e lo stato d’animo di un’epoca di profonda transizione culturale e sociale.

Quanto alle origini della parodia, già i “saloni caricaturali” del Secondo Impero trovavano ampio spazio nei giornali satirici e nelle riviste illustrate dell’epoca.  Tra i nomi più importanti ricordiamo Bertall, Cham, Nadar, Willette, Robida, ma non meno degna di nota è l’iniziativa di Gill che, nel 1869, fondò un periodico a tema intitolato “La parodia”.
Quando Rodolphe Töpffer pubblica le sue prime storie, negli anni attorno al 1830, prende in giro con i suoi racconti alcuni generi letterari in voga (romanzo pastorale, picaresco, viaggio d’istruzione), realizzando disegni che parodizzano le pose melodrammatiche degli attori dell’epoca.

Storie per farvi impazzire
Nel 1952 nasce Mad, primo fumetto che fa della parodia la sua ragion d’essere e il suo marchio di fabbrica.  Harvey Kurtzman e il suo gruppo inventano una nuova forma di comicità basata su rilancio parossistico, comportamento isterico dei personaggi, moltiplicazione degli scherzi e onomatopee. Giànel 1950 la casa editrice E.C., diretta da William Gaines e specializzata nei “comic “books”, aveva reclutato Kurtzman (ebreo di origine russa nato a Brooklyn), per lanciare il nuovo prodotto editoriale. Con i suoi compagni di lavoro Jack Davis, Will Elder, John Severin e Wally Wood, Kurtzman dà vita a Mad, il cui titolo completo è “Tales calculated to drive you Mad”, ossia storie concepite per farvi impazzire. Il primo numero è dell’agosto 1952; Kurtzman complessivamente ha curato i primi 23 numeri.
Caratterizzato da un formato tra le sei e le otto pagine, Mad proponeva in ogni numero tre o quattro storie parodistiche, ispirandosi a cinema, letteratura, teatro e pubblicità. Nel mirino di Mad finivano tutti gli eroi più famosi del fumetto americano, destinati a prese in giro memorabili.
Mad raccoglie un successo enorme, forse in qualche modo inaspettato. A partire dal 1953-54, le imitazioni di Mad già non si contano più: Crazy, Ehi! , Flip, Get Lost, Nuts! , Riot, Unsane sono solo alcuni dei titoli principali di riviste che prendono le mosse proprio dall’iniziativa di Kurtzman. Da qui la decisione della casa editrice E.C.: aumentare la tiratura e lanciare un secondo titolo parodistico, Panic, che uscirà soltanto per i primi dodici numeri, fino al dicembre 1955. Intanto Mad si trasforma e diventa una rivista: continua la sua cavalcata anche senza Kurtzman e diventa un fenomeno di culto, allargando il tiro a film o serie tv, prese in giro in modo impietoso.

La pittura al secondo grado
La pittura è fatta di icone rivisitate. L’Ultima Cena di Leonardo, L’onda di Hokusaï, L’urlo di Munch, American Gothic, ossia la coppia di agricoltori dipinta da Grant Wood, sono solo alcuni degli esempi più celebri.
A detenere il record di rivisitazioni è la Gioconda, cui già nel 1919 Marcel Duchamp aggiunse baffi, barbetta e la scritta L.H.O.O.Q., scherzo fonetico che può essere considerato l’emblema del trasgredire parodistico. L’idea di Duchamp ha inaugurato un genere: l’artista colombiano Fernando Botero arriva a ridipingerla più volte, a partire dal 1959 con Mona Lisa, age twelve. Robert Rauschenberg ne sovrappone quattro versioni macchiate e imbrattate, dal titolo Pneumonia Lisa. Roman Cieslewicz la parodizza citando Mao Zedong.
Il mondo del fumetto non resta a guardare: Don Martin la rappresenta strabica e sotto convulsioni, o in posa sul water; Fred e Alexis la collocano in posa di fronte a un Leonardo molto giovane; Geluck aggiunge il famoso gatto. Nel 1973, con il titolo “I debuttanti famosi del fumetto”, Jean Ache pubblica su Pilote sette variazioni su Cappuccetto Rosso, stravolgendo la famosa fiaba e raccontandola a fumetti in una storia di una pagina. In seguito Ache parodizza personaggi famosi, quali il Doganiere Rousseau, Fernand Léger, Miró, Picasso, Giorgio de Chirico, Bernard Buffet e Piet Mondrian, “debuttanti famosi” raccontati attraverso uno stile narrativo sequenziale. In Germania, il collettivo nato attorno a interDuck rilegge tutta la storia mondiale dell’arte creando quadri, sculture e installazioni che “remixano” le opere più famose inserendo Topolino o Paperino al posto dei personaggi originali.

Miti al secondo grado
Storia e mitologia non producono di per sé narrazioni “deviabili”, quanto piuttosto personaggi che si prestano benissimo all’ispirazione parodistica. Così, il disegnatore Jean Effel (1908-1982) è noto per la sua “Creazione del mondo” ispirata alla Genesi, ciclo pubblicato per la prima volta nel 1951 presso il Circolo d’Arte e composto da circa 900 disegni. Effel mette in scena Dio, il Diavolo, gli angeli, Adamo ed Eva con un umorismo fanciullesco ma non per questo meno poetico.
Già nel 1847, però, l’allora quindicenne Gustave Doré pubblica a Parigi un album di fumetti intitolato Les Travaux d’Hercule (Le fatiche di Ercole), nel quale trasforma l’eroe mitologico in un personaggio cicciottello alle prese con le sfide lanciategli da Eurysté, che hanno come premio una bottiglia di birra.
Nemmeno le figure più importanti della storia francese sono state risparmiate dalla parodia degli umoristi. La Jehanne di F’Murr rilegge con molta libertà artistica il mito di Giovanna d’Arco, la pulzella di Orleans, in un racconto che la trasfigura in un’avventuriera ubriacona che segue Attila nelle sue campagne di devastazione, assedio di Parigi compreso, e ama un extraterrestre munito di navetta spaziale a forma di cattedrale.
Più di recente, Jean-Yves Ferri ha realizzato una versione esilarante di “Grand Charles”, nel suo libro De Gaulle sulla spiaggia (2007), in cui il generale, pantaloncini e infradito eppure non privo di una certa “grandeur”, inganna la noia sulla costa bretone dividendosi tra Lebornec, il suo aiutante, e il cane Wehrmacht.

I classici letterari al secondo grado
Senza complessi di inferiorità, il fumetto si è rivolto ai testi più celebrati della letteratura internazionale, proponendo versioni buffe e beffarde. Già nel 1842, Cham scherzava su Telemaco, figlio di Ulisse, parodizzando il best seller di Fénelon, ma è stato con Yves Chaland che la parodia ha toccato uno dei punti più alti. Grazie alla rilettura di Madame Bovary, capolavoro di Flaubert riassunto in una sola pagina tra romanticismo e banalità, Emma, la protagonista viene completamente trasfigurata. Ma sarà nella versione di Monsieur Vandermeulen, “Littérature pour tous”, che l’eroina flaubertiana arriverà addirittura a usare il linguaggio giovanile e gergale delle periferie.
Su un altro fronte, Alexis e Gotlib hanno realizzato parodie memorabili di Notre-Dame de Paris di Victor Hugo, Amleto, La signora delle camelie di Dumas, Les malheurs de Sophie (le disgrazie di Sofia) di Sophie Rostopcina, contessa di Segur, raccolte poi in due volumi del loro Cinémastock del 1974.

Ma la parodia ha anche illustri protagonisti italiani. Vita, Carpi, Scarpa e Bottaro alimentano la serie dei classici Disney, portando topi e paperi a interpretare i grandi classici di teatro e letteratura. Topolino scende nell’Inferno di Dante (L’inferno di Topolino), Paperino diventa Don Chisciotte, Amleto, Robin Hood, fino a ibridarsi con la tetralogia di Wagner ne “Paperino e l’oro del Reno”. Intanto, si afferma un nuovo filone che sovrappone testo classico e fumetto, in massima parte grazie al lavoro dell’americano Robert Sikoryak. Sikoryak cala Charlie Brown nell’universo delle Metamorfosi di Kafka, Batman in Dostoievsky  e il gatto Garfield diventa un inedito Mefistofele rifacendosi al Faust.

Le fiabe al secondo grado
Pur nella loro diversità, le fiabe forniscono ai parodisti una serie di situazioni, personaggi e trame facilmente parodiabili, dalla fatina buona alla carrozza che si trasforma in zucca allo scoccare della mezzanotte, dalla principessa imprigionata nella torre al principe senza paura che la deve salvare. Una vera manna per i parodisti.
I primi due volumi di Rubrique-à-brac sono pieni di parodie di racconti, come se Gotlib avesse deciso di liquidare con ironia tutti i suoi legami con la propria infanzia, prima di passare a scrivere storie con occhio adulto. L’opera di Daniel Goossens, invece, ricicla gli stereotipi di cinema e letteratura e li cala nell’universo della fiaba, con un umorismo aspro che mescola sublime e ordinario e rilegge senza pietà classici come “La principessa sul pisello” o “La piccola fiammiferaia”.
Nella rivista di fumetti Ah!, di chiaro impianto femminista, Nicole Claveloux  si diverte a denunciare stereotipi sessisti celati nelle pieghe delle fiabe, mettendo in scena nel secondo numero l’incontro tra una sciocchina e il principe azzurro, o dando vita, nel numero successivo, a una Biancaneve che ha un debole per un detersivo che sgrassa in un batter d’occhio.
Un’altra disegnatrice di vignette, Diane Noomin, che ha lavorato molto su opere di ispirazione autobiografica, ha disegnato una versione molto personale di “Riccioli d’oro e i tre orsetti” facendo svolgere il ruolo di copertina al suo alter ego di carta, Didi Glitz.
Cappuccetto Rosso rimane uno dei racconti più rivisitati. Gotlib non perde l’occasione per farne emergere la dimensione erotica latente nel testo, mentre F’Murr ha lavorato su variazioni sul tema della ragazza alle prese con il lupo, moltiplicando i richiami ai racconti di Perrault eDaudet e alle favole di La Fontaine.

Il cinema al secondo grado
Fin dall’inizio degli anni ’10 alcune strisce si ispiravano alle forme tipiche del cinema degli esordi, in particolare alle opere a episodi proiettate in sala nella prima parte della serata. Ma è dal 1921, grazie ai Minute Movies di Edgar S. Wheelan, che la produzione cinematografica di quel periodo inizia a essere presa in giro. Niente viene risparmiato: dagli stereotipi del western al poliziesco, dalla commedia al melodramma, passando per l’animazione. “Hairbreadth Harry”, di Charles W. Kahles (1878-1931), prendeva di mira inizialmente il melodramma teatrale, ma lo stereotipo della ragazza innocente e del traditore con i baffi incerati e con il cilindro si possono trovare anche in “Desperate Desmond”, di Harry Hershfield (1885-1974), il cui sottotitolo è esplicito: “A Picture Drama of Love and Hate, with a Thrill in Every Picture” (una storia a  fumetti di amore, odio con un brivido in ogni figura).

Sin dai primi numeri, Mad lavora su una versione surreale di King Kong, che diventa Ping Pong, e guarda con divertito interesse a registi come John Ford, Joseph L. Mankiewicz, Elia Kazan o Robert Wise, rivisitando persino il culto della personalità dell’attore Marlon Brando.
Disegnata da Wood, la parodia del Giulio Cesare di Mankiewicz diventa per Kurtzman occasione di autoironia. L’autore prende di mira il proprio metodo parodistico, presentato come un umorismo “nauseante e pietoso”.

In Italia, il disegnatore Disney Giorgio Cavazzano produce, nel 1987, una versione molto particolare di “Casablanca” di Michael Curtiz, protagonisti Topolino e Minnie, e si ripete nel 1991 con La Strada di Federico Fellini. Sul versante francese, ricordiamo invece il tributo di Régis Franc al Visconti de “La morte a Venezia” in “Histoires immobiles et récits inachevés – Storie immobili e racconti incompiuti” del 1982, oppure i deliri di Gotlib sui film di Truffaut, Welles o Sergio Leone, il riciclaggio di Goossens dei personaggi di Via col vento o l’antiracconto improbabile dal titolo “Prénom Félix – Nome Félix”, del 1984, in cui Fromental, Bocquet e Attanasio fanno il verso a Jean-Luc Godard.

La TV al secondo grado
Le serie televisive sono tra i primi prodotti ad attirare l’attenzione degli umoristi, che non restano indifferenti a quel gusto ripetitivo del colpo di scena infinito, all’enfasi, ai ribaltamenti di situazione, ai personaggi stereotipati.
Patrice Leconte, prima di diventare regista, si diverte con “La lunga notte di Korneblu” (le cui avventure erano commentate ogni sera da una coppia rappresentante il francese medio e dalla lacrima facile), che parodizza nella rivista Pilote.
Dal canto suo, il mensile “Charlie mensuel” dà ampio spazio alla striscia “Fosdyke saga” del cartoonist britannico Bill Tidy, pubblicato tra il 1971 e il 1985 e ispirato chiaramente al successo televisivo de “The Forsyte saga”, serie televisiva inglese in 26 epidosi trasmessi per la prima volta nel 1967 du BBC Two e basata sul ciclo di romanzi “La saga dei Forsyte”, impietoso quadro dell’Inghilterra vittoriana.

Più di recente, l’album di Morvandiau, Mancuso ed Arnal “Santa Riviera” (2010), sottotitolato “il veleno delle passioni”, ha decostruito gli stereotipi del feuilleton sentimentale e della soap televisiva in una serie in otto episodi contraddistinta da un umorismo a dir poco acido. Il riferimento non è solo “Santa Barbara”, serial trasmesso in 2.137 puntate negli Stati Uniti e già parodizzato con “Gli sconosciuti”, ma più in generale alle soap basate su amore, potere, bellezza, gelosie e colpi bassi, condito da personaggi chiaramente ispirati a Charles Bronson o alla principessa Diana.
Ma a parte le serie tv, sono i quiz a offrire ai disegnatori l’occasione di ottime parodie, anche a costo di incorrere nel rischio di un anacronismo: nell’episodio “Astérix e il regno degli Dei”, Giulio Cesare incarica il giovane architetto Angolacutus di costruire un complesso residenziale che soppianti le foreste galliche. A tavola 27, l’annunciatore del Circo Massimo viene presentanto nientemeno che con le fattezza di Guy Lux, presentatore televisivo francese noto anche al pubblico italiano per la conduzione di “Giochi senza frontiere”. Lo stesso si può trovare sulla copertina dell’album collettivo “A voi Cognacq-Jay!” (2010), che mira a evocare i più importanti momenti della tv francese.
Infine, tra il 1971 e il 1972, il rapporto tra fumetto e tv francese si fa più stretto grazie a “Tac au tac” (traducibile con “botta e risposta”), programma francese che portò al grande pubblico nomi come Moebius, Hugo Pratt, Nikita Mandryka,  Alexis, Jean-Claude Forest, René Goscinny, Albert Uderzo, Dany, Michel Greg, Patrice Ricord, Jean Mulatier, Joseph Gillain, Gotlib, Neal Adams, John Buscema, Burne Hogarth, Joe Kubert, riunendoli in uno studio e mettendoli alla prova con enormi tele, realizzate sotto la sola guida dell’ispirazione del momento.

NB: questo post è una sorta di “spin off” dell’attività che sto conducendo a fianco del Festival dell’Illustrazione di Pavia. In questi giorni mi capita spesso di tradurre o redarre testi che riguardano il fumetto, l’illustrazione, le arti figurative. Di comune accordo con gli organizzatori, ho deciso di dare spazio sul mio blog personale a uno di questi: secondo me è molto interessante e in altri contesti (es: Facebook concede a chi scrive spazi di gran lunga inferiori) non avrebbe trovato la giusta collocazione. La fonte è il sito ufficiale del Musée de la Band Dessinéè di Angouleme.

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