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Fumetto: intervista a Ezio Sisto (e a Paperinik)


Intervista a Ezio Sisto, ideatore di Paperinik

paperinik Giornalista. Disegnatore. Personaggio di spicco del fumetto italiano, ora responsabile dell’area artistica di Disney Italia.

Vicedirettore di Topolino e padre di PK, Paperinik New Adventures. La biografia professionale di Ezio Sisto, come me “pavese adottato” (origini alessandrine le sue, giuliane le mie) è troppo sintetica per contenere il suo percorso umano, tratteggiato da un intuito editoriale e creativo che ha pochi termini di paragone.
Per questo e altri motivi, tradurre il nostro lungo scambio di email in un’intervista per Segnalezero è un modo per onorare questo percorso e rendere doppia giustizia: ai suoi lettori, molto probabilmente curiosi di sapere qualcosa di più del loro beniamino; e a Ezio stesso, che ha accettato con entusiasmo questa mia proposta, cosa di cui lo ringrazio pubblicamente.

Prima di tutto ti chiederei di presentarti.
Sono nato ad Alessandria il 28 gennaio del lontanissimo 1956, e dopo la maturità scientifica mi sono trasferito a Pavia per studiare medicina. Nel frattempo ho cominciato a collaborare con un famoso fotografo e con alcune case editrici. Lasciati gli studi, con grande rammarico dei miei genitori, ho continuato a lavorare in campo editoriale e sono diventato giornalista professionista nel 1988. Dopodiché ho coniugato i miei studi con la professione e sono stato giornalista scientifico fino  al 1993, anno in cui sono entrato nella redazione di Topolino. Sono sposato e vivo a Torre d’Isola, in provincia di Pavia, con mia moglie Marta, agronomo, e il cane Lulù, un incrocio golden retriever-rottweiler.

Come è nato il tuo amore per il fumetto?
Be’, io sono cresciuto a pane e fumetti. Considera che nei primi anni 60 non c’erano molte alternative. Non c’erano Internet, Facebook, videogame. Alla tv c’erano solo due canali in bianco e nero, noiosissimi…  preistoria! In più, io avevo una sorella maggiore di cinque anni, a sua volta appassionata di fumetti, e così non avrebbe potuto essere diversamente.

In quale occasione hai pensato di farne una professione?
È stato un caso. Io ho continuato a leggere Topolino anche negli anni dell’università, e quando lavoravo alla Utet periodici scientifici c’era una grafica part time, che collaborava anche con la Disney. Da lei venni a sapere che stavano pensando di ampliare la redazione, così mi proposi. Mi tennero sulla corda per un anno, poi il 1° giugno 1993 finalmente feci il mio ingresso trionfale. Ricordo che arrivai in anticipo sotto la redazione, allora andai al bar a prendere un caffè freddo e, emozionatissimo, me lo versai tutto sulla camicia bianca. Mi sentivo come Paperino, ma per fortuna c’era un negozio di abbigliamento proprio lì, mi cambiai al volo e via verso il primo giorno del nuovo lavoro.

E quando questo sogno è diventato realtà? Raccontaci gli inizi della tua carriera. Di cosa ti occupavi?
Gli  inizi, come sempre, sono stati duri, se no che inizi sarebbero? L’ambiente era fantastico, tutti i colleghi erano amici, e mi aiutavano in tutti i modi. Ciononostante, è difficile, dal di fuori, immaginare quanto lavoro c’è dietro un fumetto. Ho fatto la gavetta, controllando le storie prima che andassero in stampa, e solo dopo un po’ ho cominciato il lavoro più creativo, confrontandomi con sceneggiatori e disegnatori, creando storie e spunti nuovi.
Oggi, a distanza di quasi 20 anni, sono vicedirettore.

Qual è il tuo più grande risultato professionale?
Senza dubbio PK, la saga di un Paperinik del futuro che si scontra con nemici terribili, invasori spaziali e viaggiatori del tempo. Si trattava di un fumetto “adulto” che ha cambiato la percezione di Disney e che viene tuttora ripubblicato periodicamente. L’ultima ristampa è andata in edicola con il Corriere della sera, ed è appena terminata.

Su quali prodotti e progetti stai lavorando ora?
Adesso stiamo lavorando al numero tremila di Topolino, un numero doppio che segna un traguardo importantissimo per noi e per tutti i lettori, che da 80 anni continuano a seguirci con passione e partecipazione.

Qual è il personaggio a cui ti senti più legato? C’è qualcosa di questo personaggio che rispecchia il tuo carattere?
Il personaggio a cui sono più legato, in realtà sono tre:  Dinamite Bla, il buzzurro che vive sul  cocuzzolo del misantropo con il fedele Fiuto Joe  e accoglie tutti a schioppettate, amici (pochi) e nemici. Poi c’è Ciccio di Nonna Papera che (come il mio cane) pensa solo a mangiare e a dormire e non sa che cosa sia lo stress, e naturalmente Paperino, in tutte le sue  declinazioni: il papero sfortunatissimo  e sempre povero in canna, il supereroe senza macchia, l’agente segretissimo DoubleDuck. In tutti e tre questi personaggi c’è qualcosa di me…

C’è invece un personaggio a cui non sei mai riuscito ad affezionarti? Perché?
No, non c’è alcun personaggio che mi stia antipatico perché tutti sono come famigliari. E penso che anche i cosiddetti cattivi, come i Bassotti o Gambadilegno, o gli antipatici, come Gastone, abbiano molta più umanità di tanti nostri contemporanei.

Cosa ti ha insegnato il fumetto?
Direi tutto quello che so. Può sembrare una battuta, ma in un certo senso è vero. Il fumetto non è solo una chiave di lettura della realtà, ma ha anche una funzione educativa e culturale, specialmente se è  di altissima qualità come il nostro. Inoltre è un veicolo di valori laici universalmente, almeno a parole, condivisi.
Quando hai iniziato a lavorare, quale clima culturale si respirava? E come questo clima ha influito sul fumetto italiano nel suo complesso?
I computer in redazione  e la telefonia mobile erano agli albori. Ricordo il mio primo computer portatile: aveva il peso e le dimensioni di una valigetta ventiquattrore, in compenso prestazioni assolutamente ridicole. E il mio primo cellulare? Sembrava una cabina del telefono. Sono passati solamente 20 anni, ma sembra un secolo, davvero. Eppure si respirava un’altra aria, erano anni bellissimi e la grande crisi era di là da venire. Non sarà un caso se in quegli anni al cinema sono usciti capolavori come Matrix e Il quinto elemento, o, in campo fumettistico, si sia affermato  un fenomeno come Dylan Dog.

E ora? Qual è il ruolo e il peso specifico del fumetto in un mondo globalizzato?
Verrebbe da dire che il fumetto è finito, che ha fatto il suo tempo. E molti lo dicono, sbagliando di grosso. Certo, non c’è più la possibilità di  grandissime tirature, ma questo vale per tutto il mondo dell’editoria nel suo complesso. Per questo motivo Topolino è sbarcato nel mondo digitale, con un’edizione per iPad.Tutto il mondo è cambiato a passi da gigante, non c’è spazio per la ripetitività o le nostalgie.

Vorrei rivolgere una domanda a PK. “PK, qual è la più bella cosa che ti ha insegnato Ezio Sisto?”
Sberequack! Mi prendi alla sprovvista… mah, direi senz’altro il concetto che non esistono ostacoli insormontabili, per nessuno, e nemmeno per un piccolo papero sedentario.

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