Skip to main content

Contenuti di qualità: cosa sono, come produrli davvero


Contenuti di qualità: cosa sono, come riconoscerli, come valutarli

La premessa: questo è un post piuttosto lungo. La promessa: esaminerò l’argomento “web content” nel modo più ampio possibile, perché c’è molto da dire. Detto questo, passo ai fatti. “Bisogna creare contenuti di qualità.” Chi non ha mai sentito questa frase? Da qualche anno, complice la crescente attenzione nei confronti di Content Marketing e Storytelling, questo è diventato uno dei mantra della comunicazione digitale. Riscoperta la centralità del contenuto digitale e l’importanza del contesto di ricezione all’interno del processo di scambio delle informazioni, molti addetti ai lavori hanno iniziato a interrogarsi sulla natura e sulle qualità che testi per i siti Web, blog, video, infografiche eccetera devono possedere per informare, arricchire, divertire. E soprattutto, visto che parliamo di marketing, convertire l’utente in un cliente affezionato alla marca.

Queste riflessioni hanno portato a più di una ricetta perfetta o guida definitiva per la produzione di contenuti. Allo stesso tempo, il florilegio di commenti e opinioni ha involontariamente creato un po’ di confusione, al punto che non si capisce bene se parlare di contenuti di qualità voglia dire far riferimento a un concetto tangibile o a una “parola d’ordine” del Marketing.

Contenuti per il Web: verso un approccio complessivo

Buoni contenuti, si dice. Ok, sappiamo di cosa stiamo parlando? La mia risposta è no, o almeno non del tutto: è inutile scervellarsi su qualità, pregi e requisiti dei buoni contenuti per il Web o i social media fino a quando li guarderemo da posizioni parziali che generano punti di vista incompleti e apparentemente contraddittori.

Cosa voglio dire? Un contenuto giudicato ottimo da un Copywriter potrebbe far tentennare un SEO manager, e viceversa. Allo stesso tempo, un testo ottimizzato per i motori di ricerca pur senza perdere di vista la necessità di fornire al lettore una certa qualità lessicale, un ritmo e una scorrevolezza significative potrebbe essere valutato poco efficace da un Content Marketing Manager che prediliga ciò che converte e permette di ottenere obiettivi di marketing immediati.

O ancora, giusto per non farci mancare niente, un’azienda che voglia investire nello Storytelling aziendale potrebbe produrre racconti fotografici o video certamente ricchi di emozioni ma deficitari in termini informativi e di metodo di distribuzione sui canali digitali: un Content Strategist o un Web Editor storcerebbero il naso, non vedendoci una strategia, il primo, o un’utilità all’interno del piano editoriale, il secondo.

Chi ha ragione? Tutti e nessuno.

Ognuno di loro può addurre mille motivi che definiscono in modo ineccepibile – dal proprio punto di vista – un contenuto valido o, in senso più ampio e generico, un contenuto che funziona. Ma il problema è guardare al tema della produzione di contenuti digitali da una prospettiva ampia, ricca e globale, che riduca l’incertezza sull’argomento e permetta di parlare di contenuti digitali sperando di fare chiarezza una volta per tutte. Già separare la riflessione relativa contenuto in sé da quella legata agli obiettivi di comunicazione e marketing sarebbe un buon punto di inizio.

È naturale che ci sia un po’ di attrito. Nella maggior parte delle situazioni ognuno tende a tirare dritto per la propria strada. Alcuni continuano a considerare “contenuti di qualità” articoli SEO al limite del leggibile, nati con l’unico scopo di flirtare con Google; altri hanno occhi principalmente per messaggi iper-aggressivi che fanno abboccare i pesci all’amo, gonfiano l’ego e tentano di fare altrettanto con il fatturato.

Ma allora che cos’è un contenuto di qualità? La casistica è sterminata: per non tirarla per le lunghe, mi limito a riassumere una serie di riflessioni nate dalla mia esperienza.

Scrivere bene per il web è una buona strada per iniziare a creare contenuti di qualità

Contenuti di qualità: cosa sono, come scriverli e come valutarli

Quando parliamo di contenuti digitali in relazione alle caratteristiche che ne determinano l’efficacia in termini di comunicazione e marketing, stiamo facendo riferimento a una serie di elementi molto diversi che talvolta fanno fatica a convivere nello stesso testo. Inoltre, spesso si tende a confondere la qualità dei contenuti con l’autorevolezza di chi li ha prodotti. Questo errore di valutazione si verifica per tre motivi essenziali:

  1. Un meccanismo psicologico. Tendiamo ad attribuire valore a un contenuto sulla base del risalto dell’autore o a caratteristiche (vere, presunte o immaginarie) che una fetta di pubblico gli riconosce.
  2. Un meccanismo comunicativo. Tendiamo ad attribuire valore a un contenuto sulla base della cornice che lo contiene. Il medium si sovrappone al messaggio e finisce per influenzarlo, lo sappiamo.
  3. Un meccanismo tipico delle reti digitali. Confondiamo la qualità di un contenuto con la sua portata in termini di distribuzione su canali che raggiungono porzioni di pubblico più ampie. Ciò non si verifica principalmente perché il lettore ha poco tempo a disposizione o è portato da mille fattori a selezionare le fonti in modo certosino. Tutt’altro: è una particolare forma di bolla di contenuto, né più né meno. Non è collegata al funzionamento degli algoritmi, certo, ma alla percezione di autorevolezza della fonte e del canale. Cambia poco, sempre bolla è.

Basterebbe questo per mandare in crisi tutto il ragionamento. Dopo tutto quello che ci siamo detti, è ancora possibile definire una volta per tutte i contenuti di qualità? Come li possiamo riconoscere in mezzo al sovraccarico emotivo e informativo generato dalla sovrapproduzione digitale? Non è semplice, ma secondo me una strada c’è.

Contenuti Web: 6 livelli di analisi per capirne il valore

Un contenuto digitale può essere analizzato e valutato sulla base di almeno 6 dimensioni. Un elenco, questo, che non pretende di essere esaustivo, ma senz’altro più completo di tanti altri visti in giro.

  1. Caratteristiche e capacità informativa
  2. Impatto psicologico ed emotivo sul destinatario
  3. Capacità comunicativa del contenuto
  4. Attenzione a Content Design e User Experience
  5. Architettura del contenuto in relazione ai canali di distribuzione
  6. Utilità del contenuto in relazione agli obiettivi di comunicazione e marketing

Caratteristiche e capacità informativa

“Content is king” significa anche che un contenuto possiede caratteristiche peculiari che sono indipendenti dal contesto di ricezione e scambio. Pertanto esso dovrà:

  1. Essere formalmente corretto
  2. Contenere un livello informativo adeguato alle aspettative del destinatario
  3. Presentare una notizia. Il punto di vista da adottare è molto simile a quello di un giornalista che valuta un fatto secondo precisi criteri di notiziabilità e ne valuta la portata presso un pubblico di riferimento
  4. Contenere una tesi, ossia presentare i fatti secondo una struttura ordinata ed esplicita, così da non confondere fatti e opinioni e perseguire l’obiettivo di fornire al destinatario un contenuto “trasparente”
  5. Fornire una risposta a una domanda esplicita o implicita che il destinatario si pone
  6. Essere originale a livello di testo, linguaggio, format e punto di vista
  7. Possedere un adeguato livello di approfondimento rispetto ad altri contenuti pubblicati sullo stesso argomento
  8. Illustrare al destinatario il contesto informativo dell’argomento trattato
  9. Mantenere la promessa fatta al destinatario già a partire dalle premesse, siano esse un titolo o una sigla iniziale.

Da questo punto di vista, contenuto di qualità diventa sinonimo di contenuto utile e, soprattutto, trasparente nei confronti del patto comunicativo che si instaura tra autore e lettore.

Impatto psicologico ed emotivo sul destinatario

Scrittura e lettura non sono mai atti neutri. La prima nasce dal substrato psicologico ed emotivo dell’autore, mentre leggere significa “far entrare” il testo e metterlo in contatto con il proprio apparato di valori, credenze, stereotipi ed emozioni. Questo è un concetto che ho presentato durante corsi e workshop, nel mio manuale di scrittura creativa e di cui ho parlato in diverse occasioni. Allo Smau di Milano, ad esempio, ho affrontato l’argomento in relazione alla scrittura per i social media.

L’impatto psicologico ed emotivo di un contenuto sul destinatario non è un elemento di facile definizione, anche perché entrano in gioco soggettività e gusti personali. Tuttavia, un buon contenuto dovrebbe:

1. Possedere un buon livello di chiarezza espositiva

2. Rispettare la grammatica e coltivare un certo gusto per ritmo e sintesi

3. Possedere un certo livello di intensità rispetto al racconto di determinati fatti o eventi

4. Presentare un punto di vista, unico modo per generare una riflessione o discussione a riguardo

5. Possedere la capacità di “attraversare il contenitore” che lo limita e parlare alla coscienza del destinatario. Solo così sarà possibile emozionare, indignare, divertire o spingere all’azione. Queste sono le basi di tutto ciò che alcuni etichettano come copywriting persuasivo.

6. Possedere una propria autorialità. È un concetto che prendo a prestito dal cinema e che mi piace molto. Lo possiamo definire come quell’insieme di tracce disseminate in un testo che confermano l’esistenza di un percorso intellettuale e culturale a monte. Di un ragionamento, se così possiamo dire. L’autorialità va al di là del punto di vista, in quanto lo produce.

Da questo punto di vista, il contenuto di qualità diventa contenuto nutriente in relazione alle sue caratteristiche percettive, psicologiche ed emozionali. Questo, secondo me, è l’aspetto più importante di tutti: produrre contenuti, testi per siti Web o blog, infografiche, video o podcast significa costruire un patto emozionale con il destinatario: la bontà di un contenuto dipende per il 40% dal riuscire a farlo in modo consapevole, senza scadere in formule trite e ritrite e senza alimentare oltremodo il già impegnativo sovraccarico cognitivo che tutti noi stiamo scontando.    

Capacità comunicativa del contenuto

Ogni contenuto ha un obiettivo principale: farsi capire. Pertanto, in un contesto digitale, multidisciplinare e multisensoriali come il Web o i social media, esso deve:

  1. Rispettare le regole formali che definiscono la sua natura. Per fare due esempi, un testo dovrà essere chiaro e scritto in modo corretto, senza sottintesi od omissioni, mentre un video dovrà essere girato con una buona risoluzione, un livello audio-video accettabile, un montaggio che permetta al destinatario di seguirlo senza frizioni o sbandamenti.
  2. Essere leggibile. Il contenitore ha un impatto chiaro sul contenuto: pertanto, quella che potrebbe sembrare una regola di mero design del processo comunicativo è invece a tutti gli effetti indice della qualità del contenuto stesso.
  3. Coltivare un approccio multisensoriale che, partendo dal concetto di ipertesto, valorizzi le caratteristiche multimediali del testo stesso. La parola scritta ha un rapporto strettissimo con il suono e la musicalità delle frasi, ad esempio, e lo stesso possiamo dire di un video che si appoggia a una colonna sonora.
  4. Essere consistente. Adottare il tono di voce corretto, rispettare la coerenza del processo comunicativo, costruire un rapporto con il destinatario all’insegna della pertinenza rispetto ai reciproci obiettivi.

Il contenuto di qualità assomiglia a una città facilmente attraversabile. Dev’esserci una mappa chiara, un percorso cognitivo che lo sorregge e un valore aggiunto nell’accettare e risolvere la sfida proposta dal testo. Inoltre, ci deve sempre essere la consapevolezza che i 5 sensi non procedono mai in modo separato: un buon contenuto deve coltivare una propria multisensorialità interna che lo aiuterà a configurarsi come un’esperienza appagante per il destinatario.

Attenzione a Content Design e User experience

Il designer di contenuti non è necessariamente il Copywriter. Non si occupa tanto di scrivere testi per il cliente, quanto di progettare l’impalcatura strategica e di contenuto che permette all’utente di trovare le informazioni utili in modo semplice e veloce, e di rispettare le regole di formattazione del canale che li ospita. Pertanto, il Content Designer è un costruttore di flussi di informazione. Egli non produce necessariamente i contenuti, ma chiarisce le regole attraverso cui gli stessi contenuti diventeranno mezzo per produrre una relazione soddisfacente con il destinatario e permettergli di vivere un’esperienza utente soddisfacente. Sulla base di questa premessa, i contenuti digitali di qualità sono tali se:

  1. Vengono prodotti a partire dalle esigenze dell’utente
  2. Tengono conto dell’usabilità almeno a due livelli. Il primo livello corrisponde alla dotazione informatica del destinatario e al suo livello di dimestichezza con le piattaforme digitali. Il secondo riguarda particolari condizioni personali del destinatario (pensiamo agli ipovedenti)
  3. Vengono prodotti sulla base di una Content Strategy chiara ed efficace
  4.  Sono inquadrati entro appositi modelli di produzione regolare, quali ad esempio un piano editoriale che diversifica i contenuti (testi, audio, video, infografiche) e valorizza le sinergie tra linguaggi
  5. Trovano il giusto equilibrio tra comportamento del destinatario, sue aspettative e linguaggi utilizzati in un particolare contesto di comunicazione
  6. Rispettano gli standard di qualità dei singoli format digitali

Produrre contenuti di valore significa partire sempre dall’analisi dei bisogni del destinatario, delle sue competenze informatiche e dall’elaborazione di una strategia di contenuto in grado di:

  • Organizzare la pianificazione di tutti gli aspetti riguardanti la produzione e gestione dei contenuti
  • Gestire il ciclo di vita dei contenuti
  • Analizzare gli obiettivi della comunicazione
  • Modellizzare i contenuti prima ancora di passare alla produzione
  • Progettare un corretto sviluppo della produzione dei contenuti
  • Pensare alla corretta presentazione dei contenuti
  • Calcolare a monte il criterio di misurazione del ROI delle successive attività di Content Marketing.

Ci tengo a fare questo elenco perché in Italia fin troppi professionisti pensano che si possa fare Content Marketing senza una strategia a monte, o peggio ancora confondono Content Strategy e Content Marketing. Non lo diremo mai abbastanza: il Content Marketing è l’esecuzione di quanto il Content Strategist ha definito e stabilito in precedenza. Ignorare questa regola sacrosanta significa muoversi a tentoni, far perdere tempo e soldi al cliente. O, se vi piace la metafora, giocare a scacchi senza conoscere le regole o le teorie che permettono di impostare una partita, guidarla, vincerla.     

Architettura del contenuto in relazione ai canali di distribuzione

Ogni contenuto pubblicato sul Web possiede un potenziale virale che non deriva esclusivamente dal passaparola tra utenti o dalla vitalità della community entro cui viene condiviso, ma è strettamente collegato alle regole di distribuzione dei grandi intermediari di informazioni: motori di ricerca e social network. Questo per dire che SEO, Copywriting e Social media marketing sono discipline interconnesse: l’architettura di un contenuto va progettata in modo da invogliarne la condivisione e la distribuzione sulle diverse piattaforme.

Utilità del contenuto in relazione agli obiettivi di comunicazione e marketing

È chiaro a tutti che non stiamo parlando di estetica o di bello scrivere. La qualità di un contenuto pensato per il marketing o la comunicazione dipende dalla sua capacità di rispondere in modo corretto agli obiettivi per cui è stato progettato. Questo è un terreno molto delicato, in quanto la stessa capacità di valutazione di un contenuto dipende dalla strategia di marketing a monte. Fare Content Strategy in modo corretto significa anche dotarsi di strumenti e metriche in grado di determinare esattamente il valore di un contenuto. Non è scontato.

Quelli appena descritti sono 6 livelli di analisi che aiutano a definire qualità e valore di un contenuto digitale. In Rete però non ci sono solo gli esseri umani. Esiste un grande intermediario che dalla fine degli anni ’90 legge, cataloga, valuta e distribuisce contenuti: Google. Vediamo assieme, dal suo punto di vita, cosa sono i contenuti di qualità.

I contenuti di qualità secondo Google

Un lungo quanto interessante post di Forbes elenca le principali domande per determinare la qualità di un contenuto, almeno secondo Google. Nello specifico, il post di Jayson DeMers si basa su quanto scritto nelle Istruzioni per i webmaster pubblicate da Mountain View e sulle Page Quality Rating Guidelinesqui disponibili in formato Pdf.

È possibile utilizzare questo elenco di domande per tenere sempre a mente il modo in cui Google (ma anche i visitatori di un sito Web) valuta un contenuto e ne determina affidabilità e grado di autorevolezza.

“Meglio produrre contenuti lunghi o contenuti brevi?”

Google si sta orientando verso i long form content mentre gli utenti, sempre più attivi da dispositivo Mobile, hanno ben altre esigenze. Brevità, concisione, ritmo sono parole d’ordine per chi fruisce un contenuto da smartphone o tablet. Come è possibile trovare il compromesso tra quello che ci chiede il motore di ricerca e quello che vogliono i lettori? Semplice: variando la produzione di contenuti. Non è una regola definitiva, ma se si vogliono scrivere contenuti in grado di posizionarsi su Google, occorrerà privilegiare format da 1.000 o più parole. Al contrario, per intercettare al meglio le esigenze dei lettori, bisognerà puntare su titoli accattivanti ma non fuorvianti, elenchi puntati, forme brevi e link di approfondimento che rimandano ad altri contenuti Mobile-friendly.

“Testo, immagini, infografiche, video e social media. Come creare contenuti di valore facendo convivere diversi linguaggi?”

Scrivere contenuti di qualità vuol dire utilizzare tutti i principali linguaggi, e questo per due motivi. La maggior parte delle persone dimostra maggior interesse e partecipazione per contenuti ricchi, capaci di attirare l’attenzione e avere un buon impatto visivo. Parallelamente, anche Google sembra apprezzare contenuti e pagine Web che fanno ampio uso di elementi multimediali. Occorre sempre chiedersi:

  • Immagini e video supportano le informazioni contenute nei testi?
  • Rispettano gli standard qualitativi da un punto di vista tecnologico?
  • Sono piacevoli da un punto di vista estetico?

“Sintassi e grammatica sono corrette? I contenuti sono coerenti?”

Secondo Google l’affidabilità di una pagina Web e, più in generale, di un sito dipendono anche dalla qualità dei testi, che devono essere scritti in maniera chiara, corretta e professionale. Pertanto occorre sempre chiedersi:

  • I contenuti sono corretti da un punto di vista formale?
  • Sono organizzati in modo logico?
  • Permettono al lettore di seguire lo sviluppo dei fatti raccontati?

“Impaginazione e formattazione del contenuto sono corretti?”

I contenuti di qualità rappresentano un valore aggiunto anche perché esteticamente attraenti, facili da leggere, semplici da navigare in maniera non lineare e caratterizzati da un layout grafico piacevole. Ciò vuol dire prestare la massima attenzione a:

  • Grassetti e corsivi
  •  Lunghezza delle frasi e dei paragrafi
  • Utilizzo di elenchi puntati e liste numerate
  • Utilizzo degli spazi che dividono i paragrafi
  • Titolo, sottotitoli, titoli di paragrafo

“ Il contenuto rispetta i parametri di leggibilità?”

Ogni testo possiede un determinato coefficiente di leggibilità: rispettarlo, o comunque non strafare, significa produrre un contenuto in grado di soddisfare aspettative e preferenze del lettore. Chiaramente bisogna stare attenti a non sacrificare creatività, espressività e forza di un testo sull’altare di abitudini di consumo mediatico sempre più incompatibili con la lettura tradizionale, fatta di linearità e tempi un po’ più lunghi rispetto alla fruizione di contenuti su schermo.

“Il contenuto è stato scritto da qualcuno che possiede un riconosciuto livello di esperienza?”

Secondo alcuni, l’autorevolezza di chi produce un contenuto è un parametro molto importante e incide non poco sul posizionamento sui motori di ricerca di una determinata pagina Web. In pratica, non possono esistere siti o singole pagine prive di questo requisito. Dato che ogni informazione pubblicata sul Web può avere un impatto reale su aspetti quali soldi, salute, sicurezza, scelte di consumo e attribuzione del consenso pubblico, Google valuterebbe la qualità di un contenuto anche in relazione all’importanza dell’autore, con tutte le conseguenze e le criticità che ho espresso all’inizio di questo post.

“Cos’altro ha scritto l’autore?”

La Google Autorship è un lontano ricordo, in quanto dismessa dall’estate 2014. Eppure ciò non vuol dire che Google non sia in grado di calcolare l’importanza di un autore e indirettamente riversarla sulla rilevanza dei suoi contenuti, almeno in relazione a determinate ricerche condotte dagli utenti proprio su Google. Il contesto, le citazioni, le informazioni disponibili sul Web costituiscono gli indici che Google utilizza per attribuire una sorta di Authority di ogni produttore di contenuti: questo gli facilita il compito nel momento in cui deve esaminare il singolo contenuto e valutarlo da un punto di vista qualitativo. Dal mio punto di vista, fino a quando questa modalità di calcolo non sarà perfezionata, si potranno generare una serie di distorsioni cognitive. Fino a quel momento, l’onestà intellettuale ci obbliga a consigliare il guest blogging o la link building naturale come attività di rafforzamento del brand personale e del cosiddetto Author Rank, parametro di cui Google non ha mai confermato l’esistenza, almeno ufficialmente.

“Qual è la risposta dei social network?”

Non stiamo parlando di un semplice indice di gradimento capace di riconoscere i contenuti di qualità. Secondo alcuni, Google utilizza i cosiddetti “segnali sociali” provenienti da Facebook o Twitter per individuare correlazioni tra la qualità di un contenuto e il suo ciclo di vita sui social media. Questo permetterebbe di affinare gli algoritmi di ranking, e non solo perché un contenuto più visibile tende ad attrarre più link in entrata. Per questo motivo, è bene facilitare il lettore nel compito di condividere un contenuto, mettendogli a disposizione tutti gli strumenti social media share più adatti.

“Abbiamo gestito correttamente link interni ed esterni?”

Ogni pagina è parte di un ipertesto più grande. Per questo motivo occorre linkare le pagine nel modo corretto così da creare un livello consistente di approfondimento rispetto a un determinato argomento. Questo vale sia per i link interni, che rimandano ad altre risorse ospitate sul sito, sia per i link esterni, che invece agevolano l’approfondimento rimandando a siti Web terzi. Entrambi sono considerati un elemento che determina la qualità di una pagina Web, a patto di non esagerare.          

“Su quale dominio web è stato pubblicato il contenuto?”

Potremmo rispettare tutti quelli che secondo Google sono i requisiti di un contenuto di qualità e valore, ma se pubblichiamo su un dominio web appena nato, che non ha link in entrata, che non è citato sui social media, che non è inserito in un contesto informativo solido, il cui autore è semi-sconosciuto, allora i nostri contenuti faranno un po’ di fatica a essere considerati di qualità dal motore di ricerca.

“Qual è la qualità dei commenti ricevuti da articoli, post e contenuti?”

Passando in rassegna questa lista di domande è sempre più chiaro che Google si basa su una serie di elementi che non hanno direttamente a che fare con il testo, ma riguardano più da vicino il contesto entro cui esso si situa. Questo spiega l’importanza attribuita da molti blogger professionisti alle call to action con cui invitano i lettori a commentare i post. Il ragionamento alla base è semplice: se molta gente si prende la briga di interagire con un contenuto, questo significa due cose: il sito o blog aziendale è autorevole e il contenuto è di qualità.

“Il contenuto produce un reale valore aggiunto?”

Questa è la domanda che sorregge tutto questo lungo post. Per certi versi è la domanda delle domande. Per un motore di ricerca è ancora piuttosto difficile riconoscere un contenuto capace di portare valore aggiunto in una relazione comunicativa con un ipotetico destinatario o audience. Ma, ironicamente, potremmo dire lo stesso di tutti quei lettori umani e addetti ai lavori che sottolineano (giustamente) l’importanza di produrre contenuti di qualità, salvo poi incontrare serie difficoltà a definire le caratteristiche che li rendono tali.

In ogni caso, quando i nostri contenuti rispondono affermativamente alle seguenti domande, siamo sulla buona strada.

  • Risolvono un problema concreto?
  • Rispondono a una domanda specifica?
  • Sono capaci di incuriosire, intrattenere e divertire il lettore?
  • Possono strappare un sorriso o suscitare un’emozione genuina?
  • Sono in grado di fornire un punto di vista solido e originale?

Contenuti di qualità vuol dire anche massima attenzione al design del contenuto

Fare Content Marketing significa produrre contenuti di qualità o rincorrere l’audience digitale?

Ultimamente il discorso sul Content Marketing tende a finire ingabbiato da una contraddizione di fondo: molti sottolineano la necessità di confezionare contenuti digitali di qualità per il proprio pubblico di riferimento, poi però riducono il tutto a “Ciò che piace al pubblico”, “Ciò che diverte”, e soprattutto “Ciò che converte”.

Di per sé non sono idee sbagliate. Chi dice che dobbiamo smetterla di parlare di contenuti di qualità in relazione alle loro caratteristiche tipiche – quali stile, format, testo, qualità del Copywriting o del lavoro grafico a supporto, estro e creatività – dovrebbe tenere a mente il rischio di un’eccessiva rincorsa ai gusti dell’audience. Cercando un paragone nel passato dei mass media, il  mezzo televisivo ha già vissuto questa contraddizione a partire dagli anni ’80 e ne è uscito modificato, se non proprio snaturato del tutto.

Che fare allora? Concentrarsi sui contenuti di qualità o assecondare i gusti del pubblico? E in che misura è possibile trovare un equilibrio tra questi due obiettivi?

Non è facile rispondere a questa domanda: di certo a monte del Content Marketing occorre elaborare una strategia che tenga conto degli obiettivi aziendali e delle preferenze del pubblico in termini di tipologia di contenuto e di format. Solo così, costruendo a monte un modello di distribuzione dei contenuti, sarà possibile immaginarne ciclo di vita, impatto sull’audience e ritorno sugli investimenti.

L’importante è non confondere le due dimensioni: la qualità e il valore percepito di un contenuto digitale, infatti, è una caratteristica del contenuto in sé. La sua capacità di convertire è legata anche al contesto di distribuzione e ricezione, e all’impatto che un’informazione produce sul pubblico di riferimento. Contenuti perfetti possono non convertire (ma potranno tranquillamente perseguire obiettivi di Awareness); contenuti formalmente discutibili possono diventare delle macchine da clic.

Forse il vero problema è che, quando parliamo di Content Marketing, lasciamo che siano i Marketer a parlare di qualità, quando invece dovrebbero farlo principalmente i Content Producer. È un dubbio che mi viene in questo momento. Tu che ne pensi?

Dire che la qualità di un contenuto digitale è legata esclusivamente alla sua capacità di convertire o di rispondere ai gusti del pubblico significa confondere due dimensioni ben distinte, appiattire la comunicazione, rincorrere il pubblico rinchiudendosi in format tutti uguali e, in ultima analisi, rinunciare al grande cambiamento che il Content Marketing può apportare nella comunicazione e nel marketing aziendale. Cosa che sta ampiamente accadendo, almeno in Italia, e non credo di essere l’unico a notarlo.

Si parla tanto di qualità dei contenuti e poi alla fine la qualità viene messa in disparte. Contano i gusti del pubblico, velleitari per definizione. La televisione ha cominciato a discendere questa china nella seconda metà degli anni ’80, sulla scorta di Auditel e dell’invenzione di quel costrutto teorico che è l’audience: superfluo commentare il declino che c’è stato da quel momento in poi.

La ricetta perfetta per i contenuti di qualità

I contenuti di qualità sono contenuti onesti

Tempo fa ho letto un bel post del Content Marketing Institute, che ha chiesto a una serie di esperti di settore quali sono gli elementi da tenere in considerazione per produrre contenuti di qualità. Mi ha colpito molto la dichiarazione di Scott Berinato, senior editor di Harvard Business Review.

“I contenuti di qualità sono onesti, chiari e non hanno secondi fini. Il pubblico è intelligente e imparerà a riconoscere i contenuti che fingono di essere qualcos’altro, ma in realtà sono solo un tentativo velato di generare transazioni”.

Ecco, in questa frase c’è tutto. Parlando dell’Italia, io trovo che questa consapevolezza non ci sia ancora. Non del tutto. Né tra il pubblico, né tra molti professionisti del digitale. In questo preciso momento decine di aziende stanno comprando Attention Marketing travestito da Content Marketing, e questa cosa non fa di certo bene né a loro né al settore nel suo complesso. “Sì ma funziona!”, si dice. Sì, ma fino a quando? Lo vedo bene che oggi funziona, ma occorre ragionare in prospettiva: cosa faremo quando messaggi pubblicitari aggressivi e ripetuti che poco hanno a che fare con il Content Marketing avranno reso più diffidente l’utente digitale medio? Diremo alle aziende “Scusate, abbiamo sopravvalutato il Content Marketing!”? Tu che ne pensi?

content marketing, content strategy

Dietro a ogni contenuto c’è un’ottima opportunità di business. Perché non ne parliamo assieme?

Scrivimi subito per sapere come trasformare i tuoi contenuti in un aiuto concreto
per trovare nuovi clienti e opportunità.

"*" indica i campi obbligatori

Nome*
Questo campo serve per la convalida e dovrebbe essere lasciato inalterato.

I commenti sono chiusi.